martedì 31 luglio 2018

Quando il paesaggio rurale incontra il paesaggio archeologico nell'altopiano di Abbasanta


In un articolo precedente avevo parlato di come la nostre vecchie strutture rurali (come le pinnette) abbiano la propria valenza come beni culturali, in quanto testimoni di un'epoca e di una tradizione pastorale che fanno parte della nostra storia, e dunque come manufatti da tenere in considerazione; nella sua introduzione avevo inoltre scritto che stavo preparando uno scritto da portare al Ruraland, convegno svoltosi presso il dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari. Dopo mesi e mesi ad aspettare, finalmente il mio lavoro viene pubblicato nella rivista ad esso dedicata, cosa che aspettavo da tempo dato che col copyright posso pubblicizzare il mio saggio senza il rischio che qualche simpatico furbacchione possa copiarla e spacciarla come propria.

Questo che leggerete sarà la sintesi dell'articolo al quale ho lavorato.

Come è noto a tutti, non è affatto raro trovarsi pinnette (capanne totalmente fatte di pietre, copertura compresa), muretti a secco e recinti per animali fatti di sassi in prossimità di siti archeologici, soprattutto quelli nuragici; in questo mio lavoro spiegherò la formazione del paesaggio rurale, il suo intersecamento con quello archeologico ed i motivi che lo creano. Cominciamo dal principio.

Le prime attività agro-pastorali in Sardegna si hanno a partire dal Neolitico antico e ci lasceranno tracce per tutta la preistoria e protostoria sarda, le più numerose di queste sono ossa di animali prettamente pastorali, come ovicaprini o suini, ed altri utilizzati nell'agricoltura, i bovini; vanno poi menzionati gli strumenti in pietra o in metallo utilizzati per l'agricoltura (come il falcetto in bronzo nuragico presente al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari) vasi per contenere derrate alimentari (dolii con anse a X, sempre nuragici e sempre al museo di Cagliari in questione) e di silos rinvenuti nel villaggio prenuragico di Su Coddu - Canelles, Selargius (CA).

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Dolio nuragico con anse a "X"

Nell'area che ho analizzato, le prime strutture propriamente pastorali appartengono in tutta probabilità al periodo romano e si trovano in località Benezziddo, al comune di Aidomaggiore (OR): si tratta di due capanne allungate della stessa tipologia di quelle presenti al santuario nuragico di Santa Cristina a Pulilatino (OR), un tipo di strutture usate in tutta probabilità come ricovero degli animali. Dopo molti secoli, in periodo storico successivo a quello romano, abbiamo la costruzione di alcune pinnette di cui abbiamo resti sempre a Benezziddo e nelle località Bernardu Pala, Mura Era, Sanilo, Abbaeras, Crabia e Urba ‘e Oes, sempre nel comune di Aidomaggiore; la particolarità è sempre quella di essere costruite in prossimità di siti nuragici. Pertanto in questo periodo si può parlare di una influenza del paesaggio archeologico su quello rurale in quanto i pastori sfruttano la presenza di villaggi e nuraghi per ottenere le pietre necessarie con cui innalzare le loro piccole capannette, pertanto la modifica del primo per opera del secondo è relativamente leggera.


Pinnetta rinvenuta a Benezziddo, Aidomaggiore.

Lo spartiacque, quello che darà inizio al vero e proprio intrecciarsi dei due paesaggi, lo si avrà in periodo sabaudo, nel 1823, quando verrà emanato il Regio editto delle Chiudende, che prevedeva che chiunque fosse riuscito a recintare un lembo di terra ne sarebbe diventato il proprietario; questa geniale trovata, oltre ad essersi rivelata un fiasco colossale, ebbe conseguenze devastanti sulla quasi totalità dei siti archeologici e sul loro stato di conservazione: molti siti archeologici, come i nuraghi e le  necropoli romane ad incinerazione, subiranno danni irreversibili, tanto che alcuni di questi scompariranno del tutto o perderanno per sempre pezzi importanti facenti parte del loro contesto (abitati, segnacoli, menhir et cetera).

Il motivo di tutte queste distruzioni è semplice: per costruire nel più breve tempo possibile, invece di spaccarti le mani a scolpire legno e pietra, prelevi il prodotto già finito e che sta a tua completa disposizione, ovvero i monumenti ed i siti archeologici: nuraghi, capanne antiche e contenitori in basalto romani per le urne forniscono un materiale solido, facilmente trasportabile e pronto al riuso. Da questo periodo comincerà quindi un processo inverso: l'influenza del paesaggio rurale su quello archeologico. Altre attività che andranno ad incidere notevolmente sullo stato di conservazione dei siti archeologici saranno le varie attività di spietramento del suolo e del sottosuolo in modo tale da rendere i terreni più sgombri e fertili per i pascoli di pecore e bovini, creando dei cumuli di pietra in cui non è improbabile ritrovarci pietre di muretti a secco facenti che in passato facevano parte di capanne, altre strutture interrate o nuraghi. Si assiste così anche ad un cambio di vedute in quanto il sito archeologico non viene più visto come una fonte di materiali di costruzione ma come un ostacolo che rende meno produttivo il terreno.


Nuraghe Su Fangarzu, Borore, in prossimità di muretti a secco e cumuli di pietra

Concludo dicendo che ciò vi ho riportato non è frutto di ignoranza o vandalismo ma semplicemente dettato dalla necessità di adattarsi e sopravvivere da parte di persone (tra le quali potrebbero esserci parenti vostri e nostri) che altrimenti non avrebbero trovato modo per campare se stessi e le loro famiglie; occorre dunque porre la costruzione dei muretti a secco e delle pinnette nell'adeguato contesto se si vuole  inserire il paesaggio rurale in un quadro culturale che entri in continuità con quello archeologico.

Per chi fosse interessato al mio articolo completo, ecco il link.

E voi cosa ne pensate? Se volete esprimere una vostra opinione non fatevi problemi, commentate!

Ci si vede ;)

sabato 21 luglio 2018

Bronzetti sardi presenti altrove, quelli falsi e quelli rinvenuti senza scavi stratigrafici: possono aiutarci voltammetria e XRF?


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In questi ultimi mesi mi sono buttato corpo ed anima per soddisfare una mia curiosità sui bronzetti nuragici che raffiguravano gli animali ed ho ottenuto si e no alcune risposte ad alcune determinate mie aspettative; la tal cosa non è stata certo una passeggiata dato che A) i libri che cercavo erano sparsi un po' nelle biblioteche di Cagliari, B) c'era e c'è tutt'ora un caldo torrido infame, C) mi facevo tutto il giro delle biblioteche a piedi visto che preferivo le sovraesposizioni al sole agli scleri del cercare parcheggio in mezza mattina ed al suo conseguente spreco di benzina; di conseguenza tornavo a casa non certo al massimo delle forze.

Nonostante ciò, la ricerca mi ha fatto venire in mente una questione parecchio interessante: quella sulla datazione dei bronzetti. Dato che la maggior parte veniva da contesti sconosciuti o da altri in cui non furono effettuati gli scavi stratigrafici (allora erano pressoché sconosciuti in Sardegna ed in buona parte del mondo), si è cercato di datarli principalmente tra il Primo Ferro ed il Ferro orientalizzante attraverso la tecnica stilistica con cui venivano plasmati e decorati; due esempi lampanti sono il capo tribù di Uta e l'arciere saettante di Teti Abini datati rispettivamente al VIII-VII secolo a.C., in base a supposte influenze orientali ed a metà VII secolo a.C., basandosi su influssi dell'arte paleoetrusca. Nuovi scavi e studi hanno permesso di ottenere datazioni più precise al merito della loro creazione: si va da un periodo che va dal Bronzo finale fino agli inizi del Primo Ferro.

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Arciere saettante di Teti Abini e capotribù di Uta, provenienti da scavi non stratigrafici e datati da Lilliu in base allo stile con cui sono state elaborate.

Vi sono poi i casi dei bronzetti sardi presenti nelle aste, prelevati attraverso scavi distruttivi ed illegali che privano i reperti dell preciso contesto di appartenenza e che li sparpagliano in collezioni private in giro per il mondo. 

Va poi menzionata una questione successa circa 3 anni fa e che dalla quale si scatenò una polemica non indifferente: i bronzetti riportati dall'Inghilterra dall'associazione Nurnet. La storia è questa: alcuni vedono dei bronzetti in un'asta a Londra in cui si vendevano delle statuette in bronzo che venivano indicate come sarde, Nurnet ne acquista quattro e le riporta in Sardegna, il soprintendente Marco Minoja e l'archeologo Rubens d'Oriano dichiarano che potrebbero essere dei falsi e da lì si scatena la polemica (che io stesso spero di non resuscitare per il solo fatto di averla menzionata). 

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I Bronzetti in questione. Per chi volesse avere dei confronti con i veri bronzi nuragici raffiguranti animali, eccovi il link dell'opera che fa per voi.

Tralasciando il fatto che io stesso, per questioni stilistiche, dubito della "nuragicità" dei bronzetti in questione, la datazione di questi bronzi potrebbe essere smentita o confermata utilizzando una tecnica di datazione forse poco conosciuta ma che è già stata sperimentata 4 anni fa con successo e che può fornire risposte adatte alle nostre domande: la voltammetria.

La voltammetria è un tipo di analisi chimica dei metalli che è stata applicata dal professor Antonio Doménech-Carbó dell'Università di Valencia per la datazione di alcuni reperti di bronzo. Il procedimento si basa sull'ossidazione superficiale del rame contenuto nella lega metallica in questione e su quanto questa sia rimasta a contatto con agenti ossidanti, in questo caso l'aria. Il rame infatti, a contatto con essa, crea un primo strato di cuprite, uno degli ossidi dell'elemento in questione; quest'ultima, col contatto prolungato con l'aria, crea un secondo strato che genera un altro ossido, la tenorite.

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Strumenti usati per la voltammetria (mi scuso per l'immagine di scarsa qualità ma non ho saputo trovare altro).

Fatta questa piccola introduzione di chimica spicciola, vi spiego come funziona il tutto.
Si prende una barretta cilindrica di grafite, la si bagna nella paraffina, la si mette in contatto con la superficie che vogliamo analizzare in modo tale che parte delle sue molecole si attacchi all'elettrodo che verrà infine messo nella soluzione acquosa che funge da elettrolita; ciò significa una cosa molto importante: questo metodo di analisi cronologica  non è distruttivo. Fatto questo, vedremo dei picchi nel macchinario collegato agli elettrodi e agli elettroliti, questi rappresentano il livello di corrosione e sono direttamente proporzionali, cioè più un oggetto di metallo è ossidato e più i picchi aumentano. Per chi volesse avere informazioni più dettagliate vi linko questo sito, quest'altro e l'articolo dello stesso professor Doménech-Carbó (vi avviso che dovrete fare richiesta al diretto interessato).

Può quindi essere la chiave per risolvere il problema delle datazioni di molti dei nostri bronzetti? Si, a patto di aiutarsi con gli altri materiali datati in precedenza per meglio calibrare la data precisa, cosa appunto fatta da Domenech-Carbó. Può fornire una datazione più precisa anche dei bronzetti rinvenuti in stratigrafia? Certo che si. Può smascherare un falso? Su questo non saprei dire nulla di certo dato che si conoscono tecniche per un "invecchiamento" artificiale dei metalli, tuttavia la cosa può essere risolta con l'analisi di fluorescenza a raggi x, detta anche XRF.
Dato che molte tecniche di ossidazione artificiale prevedono l'uso di composti chimici, la tecnica sopramenzionata, grazie ad un indagine di superficie non distruttiva basata sui raggi X e sulle reazioni energetiche degli atomi e degli elettroni alla sua penetrazione, è in grado di riconoscere sulla superficie del manufatto i residui dei reagenti utilizzati per l'ossidazione del materiale; ogni elemento rilascia fotoni al suo passaggio ed è riconoscibile a seconda della quantità di energia fotonica rilasciata. Per aver informazioni maggiormente dettagliate, vi linko l'articolo che parla in maniera più tecnica ed approfondita della XRF.

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Come funziona uno strumento portatile per l'analisi della fluorescenza a raggi X.

E voi cosa ne pensate? Se vi è piaciuto l'articolo, se volete dire la vostra, o se volete dire qualcosa in più in merito agli strumenti di analisi chimica applicati all'archeometria, non fatevi problemi, commentate.

Ci si sente ;)

sabato 7 luglio 2018

Opinioni spicciole. L'isola dell'Asinara, il carcere di Fornelli e quale sia il modo giusto (secondo me) per riutilizzarlo.

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Chi in Sardegna non ha mai sentito parlare dell'isola dell'Asinara? Un'isola particolare, affascinante, nota per il suo paesaggio peculiare che riunisce spiagge, colline, montagne e pianure in pochi km quadrati; nonché un Parco Nazionale famoso per gli asinelli bianchi che la rendono tanto iconica, apprezzato per i centri di recupero della fauna marina esser e per le aree protette vietate a visitatori.
Ciò che è obbligatorio ricordare però è che sia stata una delle più dure e famose colonie penali italiane, spesso destinata a mafiosi, camorristi, delinquenti comunque destinati al 41 bis, tanto che arrivò pure ad ospitare la malanima di Totò Riina; fatto noto alle vecchie generazioni di sardi ed italiani, non tantissimo invece alle nuove che non hanno conosciuto gli anni della colonia penale oppure ne hanno visto soltanto gli sgoccioli, ragion per cui avrebbero conosciuto l'isola soltanto come Parco Nazionale.

La colonia penale, originariamente composta dalla sola Cala d'Oliva, vede la formazione di tante diramazioni, la più famosa (o famigerata, punti di vista) di queste è Fornelli: costruita nel 1930 come sanatorio per malati di tubercolosi, diventa una struttura destinata ai lavori agricoli da parte dei detenuti; questi erano composti in buona parte da terroristi rossi che daranno inizio a delle manifestazioni di protesta alla fine degli anni '70 che esploderanno in malo modo nel 1979 con la cosiddetta Battaglia dell'Asinara, una rivolta da parte dei detenuti talmente violenta che venivano impiegate pure le caffettiere come bombe a mano artigianali, inutile dire che verrà sedata con le maniere più dure possibili; Fornelli prende una pessima nomea e diventa famigerato per essere uno dei carceri più duri e cattivi d'Italia, questa fama farà in modo che dentro la struttura vengano sbattuti dentro mafiosi e camorristi durante i primi anni '90, dopo la stragi di Capaci e di Via D'Amelio. Successivamente, dismessa la colonia penale, Fornelli conosce una fase di abbandono per poi diventare meta dei turisti che passano a visitare l'isola fino ad una chiusura in quanto ormai pericolante.

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Alcuni membri delle Brigate Rosse

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Terrorista rosso che protesta contro le condizioni del carcere di Fornelli.

Per chi fosse interessato, questo è il link di un articolo che racconta in maniera dettagliata il casino successo.

Sono venuto a sapere per la prima volta della struttura nel periodo in cui accompagnavo la mia ragazza, la dottoressa Marta Diana, durante il giro di ricognizione per la sua tesi di laurea magistrale e ne sono venuto a conoscere la storia nel periodo in cui cercavo di diventare guida escursionistica all'interno dell'isola; giovedì scorso ero venuto a seguire in convegno sul riuso delle vecchie strutture pubbliche dismesse ed abbandonate o di quelle che non furono mai utilizzate una volta costruite (orgoglio tutto italiano), la cosa interessante è che il tutto terminava con un workshop interattivo in cui si formavano 3 gruppi che si mettevano a discutere su come riusare delle vecchie strutture dell'Asinara tra cui Fornelli. La mia proposta è stata la seguente: ristrutturare Fornelli per intero mantenendone intatta la struttura originaria allo scopo di creare una sorta di luogo della memoria per far passare un messaggio culturale e sociale. 

Ma quale sarebbe questo messaggio culturale e sociale di cui sto sto scrivendo? Semplice, fare in modo che nelle carceri si possano formare delle condizioni di vita accettabili per i detenuti in modo che si arresti la scia dei suicidi e dei malcontenti; si ricorda che la funzione primaria del carcere non è tanto quella di punire quanto di recuperare, concetto ora come adesso apparentemente poco calzante con la realtà che noi viviamo e/o percepiamo, soprattutto in periodi in cui sentiamo sempre di mariti che uccidono le mogli, stupri, atti di bullismo, vandalismo, violenza tra gang, atti di xenofobia violenta et cetera; va comunque ricordato che in galera uno può finirci persino per motivi meno gravi (come ad esempio i piccoli furti al supermercato od alla bottega) e che un ambiente malsano può portare ad un peggioramento del detenuto che, una volta di nuovo libero, potrebbe avere problemi a reinserirsi nella società e di conseguenza rischierebbe di ripetere gli stessi crimini che ha commesso prima; è altrettanto possibile che possa compiere atti ancora peggiori dei precedenti. Ciò non significa mandarlo in una SPA a 4 stelle e fargli fare dei massaggi all'olio di jojoba ma a fornirgli delle condizioni di vita perlomeno dignitose in modo da facilitarne il recupero ed il reinserimento nella nostra società..

Se non siete convinti di quanto sto scrivendo, sappiate che in tutto il 2017 sono avvenuti ben 57 suicidi a fronte di 1135 tentati, numeri indicativi della situazione parecchio tetra in cui versano le carceri italiane; restando in Sardegna, basti pensare che soltanto a Buoncammino, a Cagliari, avvennero in tutto 62 suicidi durante la sua lunga ed onorata attività.
Mi rendo conto quello di cui sto parlando sia tema apparentemente distante dalle vite di tutti noi ma potrebbe riguardarvi parecchio da vicino dato che, non avendo il dono della premonizione, un vostro parente/familiare (per non dire figlio o nipote) potrebbe ritrovarsi dentro anche solo per un incidente stradale od una rissa finita male. Magari in futuro io stesso potrei finire in gattabuia, vai a saperlo. Per cui è meglio se seguite quanto sto per scrivere.

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Ex-carcere di Buoncammino, Cagliari, uno dei più duri e famigerati per le condizioni in cui erano costretti a vivere i detenuti.

Sono tanti i motivi che portano molte carceri italiane ad essere un vero inferno per chi è costretto a viverci: spazi ridotti, cibo scadente, scarsa igiene ed altri elementi che, a lungo andare, possono destabilizzare il morale di un individuo e portarlo alla depressione o comunque ad un peggioramento della psiche e del carattere con le conseguenze facilmente immaginabili.
Ed è qui che entra in gioco Fornelli: una volta restaurato, può essere convertito come un vero e proprio luogo della memoria in cui raccontare per filo e per segno le durissime condizioni in cui vivevano i detenuti all'interno della diramazione e che cosa abbia portato a scatenare le proteste culminatesi con la violenta rivolta del '79.
Perché proprio Fornelli e non un altro carcere italiano o sardo? Perché si tratta di un ex-carcere che si ritrova su una delle mete turistiche più visitate della Sardegna, e questa è un'ottima occasione per far passare i turisti all'interno della struttura, cosa per altro piuttosto semplice dato che Fornelli è un punto facilmente raggiungibile visto che basta soltanto prendere la navetta che parte da Stintino e si attracca direttamente sul posto.

Un altro punto che gioca a favore è dato dal fatto che il carcere stesso era di per se un posto invivibile: corridoi stretti, finestre piccole e messe molto in alto che creavano degli ambienti davvero chiusi, stanze piccole e spazio limitato per l'ora d'aria, senza contare che in quei momento che uscivi fuori per i lavori forzati non trovavi altro che il mare ad impedirti ogni via di fuga (soltanto il bandito Matteo Boe riuscì a fuggire dall'Asinara ma lui si trovava a Cala D'Oliva).
Per questo motivo la ristrutturazione deve mantenere intatta la pianta originale nei limiti del possibile ed ogni singola stanza com'era prima dell'abbandono della colonia penale.
Ovviamente le sole stanze potrebbero non riportare appieno, soprattutto a chi ha un'immaginazione vicina allo zero, la durezza e tutte le brutte cose avvenute nel carcere in questione, ritengo dunque davvero utile affiancare ad ogni ambiente, ad ogni stanza, sempre nei limiti delle possibilità foto e didascalie giganti che mostrino quanto erano dure le condizioni di vita e tutti gli avvenimenti importanti avvenuti all'interno di Fornelli, quali ad esempio le proteste che culminarono con la Battaglia dell'Asinara.

E voi? Che opinione vi siete fatti al merito? Spero che questo articolo, che di archeologico non ha nulla, vi sia piaciuto.
Ci si sente ;)

venerdì 29 giugno 2018

I reperti della spiaggia della pelosa di Stintino: cosa la gente dovrebbe fare e cosa non dovrebbe fare in presenza di un reperto archeologico.

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Gli appassionati di archeologia e gli archeologi stessi avranno sicuramente sentito la notizia che riguardava la consegna, da parte di un anonimo, al MUT di Stintino, di alcuni reperti archeologici ritrovati nei fondali della spiaggia della Pelosa, una delle più belle spiagge del nord Sardegna (così bella che, pur essendo una manciata di metri quadri, ci vanno 20000 persone al giorno, minimo); va inoltre detto che non è la prima volta che allo stesso museo vengono consegnati dei reperti archeologici: già 2 anni fa furono consegnate, sempre in forma del tutto anonima, una gigantesca ancora di piombo di epoca romana ed altri reperti archeologici davvero molto interessanti (per chi fosse interessato, ecco il link). Sebbene si tratti di qualcosa fatto in totale buona fede, prendere dei reperti da terra o dai fondali marini è un qualcosa che non va mai fatto.  Perché?

Prima di spiegarvelo, mi sembra opportuno fornirvi una "storia" in pillole della zona che comprende Stintino e l'isola dell'Asinara (di cui sto scrivendo un capitolo) dal punto di vista delle frequentazioni umane in modo da capire che cosa abbia portato al deposito di reperti archeologici.

Le prime testimonianze risalgono alla preistoria, domus de janas di Campu Perdu all'Asinara e di Tana di Lu Mazzoni a Stintino (quest'ultima riutilizzata come tomba dei giganti in epoca nuragica), ed alla protostoria, nuraghi Unia e Casteddu a Stintino e rinvenimento all'Asinara di bronzetto raffigurante un toro da parte di Giovanni Lilliu; è dal periodo romano che si inizia ad avere più testimonianze dal punto di vista sia archeologico, relitto di Cala Reale all'Asinara e resti di una domus romana a Stintino, che delle fonti scritte, Plinio il Vecchio la chiama Herculis Insula ed è presente pure nella Tabula Peutingenaria (una mappa del mondo di epoca romana); non vi sono reperti di epoca punica.

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Domus de janas di Campu Perdu, interno.

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Domus de janas di Tana di Lu Mazzoni, riconvertita come tomba dei giganti in epoca nuragica.

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Relitto nave romana di Cala Reale con anfore annesse.

Le testimonianze più numerose ed importanti le si avranno nell'Età Moderna, soprattutto all'Asinara: costruzione del cosiddetto Castellaccio, innalzamento di torri di vedetta da parte degli spagnoli in modo da avvistare l'arrivo dei pirati barbareschi (leggenda vuole che lo stesso pirata Barbarossa avesse stanziato per un po' di tempo in una zona dell'isola, il punto stesso sarà infatti noto come Punta Barbarossa) e tentativi di colonizzazione di questa in epoca sabauda; va inoltre tenuta conto l'esistenza delle piccole comunità che verranno a formarsi ed a stabilirsi fino alla loro cacciata nel 1885 con la creazione della colonia penale; pure a Stintino si avranno testimonianze relative all'età moderna (torri spagnole, ovili).

Tutte queste frequentazioni, dovute soprattutto dal fatto che si trattasse di una zona navigabile molto importante all'interno delle strategie geopolitiche di coloro che dominavano la Sardegna, hanno lasciato tracce non solo dal punto di vista dei reperti immobili ma anche di quelli mobili, Cala Reale ne è l'esempio lampante. Il punto è che non abbiamo soltanto rinvenimenti in quest'ultima spiaggia punto ma anche in altre, tra cui... La Pelosa.
Spiegato il contesto in cui si inserisce la nostra cara spiaggia, cominciamo a dire i motivi per cui la gente fornisce i reperti ai musei e quali possono essere le conseguenze di tale gesto.

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Torre della Pelosa, Stintino, una delle più iconiche non solo del paese stesso ma anche di tutta la Sardegna.

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Torre di Cala d'Oliva, isola dell'Asinara

Uno dei motivi, che costituisce pure un grosso problema, è l'ignoranza della legge.
Chi tra le vecchie generazioni non ha mai avuto la tentazione di raccogliere cocci, ossidiane, frammenti di bronzo per puro spirito collezionistico o per portarsi a casa un ricordo di qualche sessione di trekking tra i monti o di una nuotata lungo le coste? A chi tra i pescatori più navigati non è mai capitato di tirare fuori dalle reti alcune anfore commerciali insieme ai pesci? In totale ingenuità e senza voglia alcuna di fare i tombaroli, se li saranno tenuti a casa come ricordi o come arredamento (ci sono vecchiette di paese che usano anfore romane come vasi per i fiori). O magari c'è chi aveva voglia di denunciare il ritrovamento ma che, invece di chiamare i carabinieri, ha portato i reperti direttamente al museo, magari in forma pure anonima come nel caso dei reperti al MUT.

Può pure capitare che ci si renda conto troppo tardi di aver fatto una cavolata e che a tenersi quel coltello in ossidiana del Neolitico o quella lucerna di epoca nuragica si rischia pure la galera ed allora si cerchino varie vie per sbolognarsi della patata bollente; da qui si scelgono due soluzioni: A) ributtare in terra o in mare i reperti nella maniera più furtiva possibile (rischiando pure di falsificare un contesto qualora non fosse nel punto preciso in cui furono rinvenute prima); B) sbolognare il tutto ai musei, come è successo al MUT.

Un altro problema piuttosto rognoso è questo: cosa succederebbe se tutti quanti, di punto in bianco, si decidessero di dare ai musei tutti i beni che si custodivano in casa senza che nessuno sapesse nulla? I musei avrebbero finalmente delle nuove cose tanto belle da esporre? No. Si dovrebbero sobbarcare di un peso non indifferente, ovvero tenere i reperti, metterli al sicuro e fare in modo che non si rovinino in attesa che la soprintendenza decida la loro definitiva collocazione.

Ed ecco il problema peggiore, dulcis in fundo, last but not least: chi raccoglie i reperti che trova in giro, pur facendolo in buona fede, compromette in maniera irrimediabile il contesto archeologico in cui questi si trovavano privandolo così di elementi che potrebbero aiutare a capire che cosa fosse e quale fu il suo destino; ed i reperti raccolti, arrivati a questo punto, che fine faranno? Semplicissimo, perderanno qualsiasi valore dal punto di vista archeologico. Mi spiego: un vaso attico a figure rosse rimarrà sempre un vaso attico a figure rosse, un bronzetto nuragico rimarrà sempre un bronzetto nuragico, una statua romana rimarrà sempre una statua romana ma non si saprà mai il punto preciso in cui sono stati presi, non daranno alcuna informazione precisa sul luogo dove sono stati trovati e quale fosse il contesto in cui sono stati rinvenuti.

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Una delle tante persone nel mentre che toglie via un reperto dal suo contesto originario. Farà crollare tutto il tempio e finirà nelle grinfie dei nazisti. Un altro valido motivo per non raccogliere i reperti che vi capitano sotto tiro.

Vi faccio un esempio: mentre si fa una scampagnata in campagna della località X del paese Y in provincia di Z, Gavino scopre un'urna romana, la prende e la invia in forma anonima al museo del paese e scrive che è stata rinvenuta in suddetta località, il che non sarebbe malvagia come cosa, il punto è che X è vasta circa 240 km quadrati, ragion per cui risulta impossibile stabilire un punto preciso in cui fosse stata individuata e raccolta l'urna in questione, il contesto risulterà quindi danneggiato e l'oggetto perderà valore archeologico.

Esempio numero 2: mentre va a farsi una nuotata al Poetto, Bachisio trova un anfora punica lungo la quinta fermata, la prende e la invia in totale anonimato al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e scrive "ritrovata alla quinta fermata del Poetto, Cagliari" senza nemmeno indicare il punto preciso in cui l'ha prelevata o almeno la relativa distanza dalla riva, cosicché non si sa neppure da che punto iniziare le ricerche. Anche in questo caso il contesto risulterà danneggiato e l'oggetto non avrà più alcun valore archeologico

Ragion per cui, cari lettori, MAI raccogliere un reperto che sbuca dal terreno o da un fondale marino.
Uno a questo punto si chiederà "e allora che cosa faccio quando ne vedo uno?", semplice: si avvisa l'autorità competente (sindaco, soprintendente o carabinieri) entro 24 ore dal ritrovamento e si fa in modo di mettere il reperto in sicurezza lasciandolo sempre e comunque nel punto preciso in cui l'ha ritrovato; se poi lo scopritore stesso ritiene che non ci siano le condizioni perché il reperto si possa trovare al sicuro dalle mani altrui allora è possibile toglierlo momentaneamente dal contesto fino all'arrivo delle autorità competenti.
Per maggiori informazioni vi linko il codice dei beni culturali, se volete andare dritti al punto allora guardatevi gli articoli che vanno dal 90 al 93.

Spero che l'articolo vi sia piaciuto e che possa avervi fornito una bella delucidazione in materia; vi annuncio che il prossimo non avrà alcunché di archeologico ma vi prego tutti di leggerlo perché si tratta di qualcosa molto importante dal punto di vista sociale e culturale.

Detto questo, ci si sente ;)

mercoledì 13 giugno 2018

I giganti di Monte Prama: perché terranno in ombra tutti gli altri siti archeologici sardi per ancora molto tempo.



In questo fine settimana non s'è parlato di altro, la questione è impazzata in tutti i gruppi di appassionati di archeologia su Facebook, persino gli archeologi stessi non hanno potuto sfuggire alla rilevanza della questione esprimendosi con toni abbastanza seri, l'atmosfera è tesa, il clima infame (e non scherzo dato che ci sono 30 gradi fuori ma piove quasi sempre), la sentenza è stata emessa: chi usa il termine "giganti", e non "eroi" per chiamare le statue di Monti Prama è un ignorante e si dovrebbe vergognare. Come se queste fossero le cose davvero importanti. Come se degli archeologi seri non avessero mai chiamato "giganti" le statue di Monti Prama.

Pur non essendo la più bassa e vile delle polemiche, andate a vedere che tutto ha detto gli anni scorsi il nostro (non) caro ex presidente della Regione Sardegna, Mauro Pili, questa storia ha un che di comico perché sono anni ed anni che si usano termini coniati dalla popolazione per indicare tombe scavate sula roccia di epoca preistorica (domus de janas) sepolture megalitiche a corridoio con esedra sulla parte frontale (tombe dei giganti); hanno un che di comico, con rispetto parlando, pure alcune delle incazzature che si sono verificate nei gruppi di appassionati, a trassa di offesa personale verso la propria madre.
Tutto questo però è anche la conferma di una cosa: i giganti di Monti Prama sono considerati ritrovamento archeologico più famoso ed importante di tutta la Sardegna sia dal punto di vista mediatico che da quello prettamente archeologico. E lo saranno ancora per tantissimo tempo, sempre che nuovi scavi non scoprano qualcosa di ancora più grosso ed unico.
Perché?

Prima di iniziare il discorso voglio mettere chiaro una cosa: in questo articolo non si getta fango sulle statue di Monti Prama e sul sito dal quale provengono, sarebbe moralmente criminale e, in quanto amante di archeologica nuragica, sarei parecchio bacato in testa se lo facessi; in questo articolo si discute di come mai Monti Prama metta in ombra tutti gli altri siti archeologici della Sardegna. Fatto questo doveroso chiarimento, iniziamo.

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Gente molto ignorante  (sono ironico, per chi non lo capisse).

1. Sono nuragiche.

In un'isola che è stata uno dei tanti domini dell'Impero Romano, che ha avuto una storia particolare rispetto a quella delle altre regioni del continente italico che le ha permesso di sviluppare tutte le peculiarità culturali che può vantare ora, la gente non può che rispecchiarsi nelle proprie radici risalenti all'età del Bronzo, quando la Sardegna aveva già sviluppato una propria e peculiare identità culturali i cui segni sono ben visibili tutt'oggi; e va inoltre aggiunto che in periodi di forte crisi economica e sociale come quelli che stiamo vivendo non è raro ripensare o rifarsi alle proprie origini.

2. Sono uniche persino all'interno del panorama archeologico nuragico.

Nonostante la presenza di una testa simile rinvenuta a Narbolia e la recente riscoperta di un corno di pietra, probabilmente parte id un elmo, rinvenuto a San Sperate da parte di Alberto Mossa, i giganti rimangono un unicum in tutto il panorama della Sardegna nuragica.
Pensateci: abbiamo molti luoghi in cui vi sono pozzi sacri, templi a megaron, tombe dei giganti, e capanne delle riunioni (taccio sui nuraghi per ovvi motivi) ma solo uno in cui sono state rinvenute delle statue in pietra che hanno fornito nuovi dati sulla statuaria nel Mediterraneo occidentale e che sono uniche e perfettamente identificabili per il loro aspetto peculiare. Perché fissarsi su dei nuraghi che si vedono in ogni angolo della Sardegna  o dei bronzetti presenti in più siti sparsi per la nostra isola quando abbiamo abbiamo qualcosa di ancora più esclusivo e ristretto in cui riconoscerci e rappresentarci?

3. Sono estremamente spendibili a livello mediatico.

Essendo qualcosa di completamente unico, ed iconico, era ovvio che sarebbero stati adoperati come una sorta di veicolo pubblicitario per la Sardegna e le sue bellezze, non a caso Cabras (OR) stessa ha adoperato il nome di "Terra dei giganti" su cartello stradale a sfondo marrone
Spesso la cosa piglia vie strane e le nostre statue finiscono per fare da mascotte a svariate identità all'interno della nostra isola, dalla Dinamo Sassari (e fin qui va pure bene a mio avviso) a centri commerciali (cosa che fa capire quanto siano diventati una commercialata, chiedo scusa per l'orrore letterario, in alcuni punti della Sardegna). In certi casi la cosa piglia vie di dubbio gusto e ci si dedica alla ricostruzione in polistirolo dei giganti stessi per poi spargerli in vari punti del paese di Cabras, a volte vicino a cartelli stradali rischiando di creare conseguenze facilmente ben immaginabili a chi si affida alla segnaletica stradale.

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Un buon modo per usare l'immagine dei giganti...

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... seguito da uno pessimo.

4. Sono venuti a galla in questo decennio.

Pur essendo stati scoperti a metà anni '70, è indubbio a tutti che i giganti sono capitati sotto la luce dei riflettori da quando hanno occupato i principali canali di comunicazione soltanto negli anni 2010, quando i social network (Facebook in primis) si stabilirono come la piattaforma predefinita nelle quale approcciarsi alle persone e venire (dis)informati di quello che succede nel mondo (dis, sapete... le fake news); prima invece la loro comunicazione veniva fatta essenzialmente attraverso mezzi comunicativi tipicamente accademici come riviste e libri archeologici, roba che si filavano soltanto quelli che lavoravano nel settore insieme a pochissimi appassionati. Niente social, niente fama.
E no, nessuno ha voluto tenere nascosti per 40 anni le nostre belle statue.

In definitiva: è un bene o è un male?

La questione è grigia: grazie alla luce sotto i riflettori di cui godono, ai loro tratti peculiari ed al fatto che sia attualmente uno dei simboli più forti della nostra identità sarda, i giganti sono i reperti archeologici che pubblicizzano meglio tutta la Sardegna e questo non può che essere un bene da un punto di vista economico e conoscitivo di tutta la Sardegna visto il numero di turisti che contribuiscono a portare, sia a Cagliari che a Cabras; bisogna poi contare che, attraverso le nostre amate statue, i nostri cari visitatori potrebbero volerne sapere di più della Sardegna e di tutti i tesori di tutte le epoche (soprattutto quella nuragica) che non tutti conoscono, pertanto dai giganti stessi potrebbero decidere di capire cosa c'era prima ed andare visitare Su Nuraxi di Barumini (Sud Sardegna) e Santu Antine di Torralba (SS) oppure scoprire cosa è venuto dopo e visitare Tharros o Nora.

Paradossalmente però, tutta la questa importanza mediatica può avere conseguenze poco piacevoli e non mi riferisco alle speculazioni, quelle ormai sono una triste normalità persino per argomenti più importanti, ma al fatto che si corre il rischio che vengano destinati sempre meno fondi verso lo scavo di altri siti molto meno famosi ma comunque molto importanti dal punto di vista archeologico o di altri siti che rimangono ancora sotterrati ma che se scavati potrebbero dare alla luce dei contesti davvero piacevoli ed interessanti. Come mai?

Prima di darmi del pazzo vorrei far notare che stiamo vivendo un situazione molto difficile dal punto di vista economico, tanto che sono stati fatti numerosi tagli alla ricerca scientifica in generale, compresa quella archeologica, ed il governo che si è appena formato rappresenta un'incognita; pertanto: io, soprintendenza archeologica, chi finanzio se ho sempre meno soldi? Spargere soldini in giro per tutti i siti archeologici come se fossero nutella su una fetta biscottata sarebbe deleterio visto che non basterebbero neppure per scavare mezzo metro quadro di strato, devo quindi concentrare i miei soldi in alcuni siti precisi in modo tale che ne vengano fuori campagne di scavo decenti, su quale sito archeologico darò la mia priorità? A quello che sta sempre facendo parlare di sé e che mi fornisce dei rinvenimenti archeologici mai visti prima o a quello che conoscono soltanto all'interno dell'università e quattro gatti sparsi in giro per l'isola? Devo poi tenere conto che io, soprintendenza archeologica, non finanzio solo interventi di scavo ma anche di restauro e recupero e che i soldi, repetita iuvant, scarseggiano sempre di più. E se qualcuno si lamenta che sta ricevendo sempre meno soldi per gli scavi? Pazienza!

Spero che questo articolo vi sia piaciuto e che possa aprire qualche spunto di riflessione, se sapete qualche dettaglio in più commentate pure, non fatevi problemi, se poi siete in disaccordo con quanto scritto fate sapere il vostro perché basta che non si scenda sul personale dato che ogni volta che si tocca i giganti si impazzisce facilmente. Detto questo vi saluto.

Ci si vede ;)

mercoledì 6 giugno 2018

Archeogaming: Mi Rasna. Quando i videogiochi incontrano l'archeologia.




Archeologia e videogiochi sono quanto più lontano ci si possa immaginare: la prima per poter studiare, apprendere e realizzare quale fu la storia dei nostri antenati attraverso i ritrovamenti archeologici; i secondi per poter staccare la spina, cazzeggiare o immergersi in altri mondi per non pensare ai propri problemi e le proprie incombenze.
Mischiarli entrambi non sembra certo essere cosa fattibile, sarebbe come mettere lo zucchero nella aglio-olio-peperoncino, l'aceto nella passata di pomodoro (e una volta io l'ho fatto) e il sale nel mojito (il sindaco della mia città sclererebbe male al solo pensiero); in sostanza mischiarli produrrebbe soltanto ciofeche come la carbonara francese.
O forse no.

Dal mondo delle indies videoludiche è spuntato fuori un giochino per le piattaforme Android (smartphone e tablet) particolarmente interessante, un gioco dedicato ad una popolazione ben nota nel panorama archeologico mondiale ma pressochè ignorata industrie di videogiochi che prediligono di solito greci o romani, dove l'archeologia riveste un ruolo particolarmente importante nel proseguimento dello stesso.
Signori e signore, lettrici e lettori, vi presento: Mi Rasna.

Creato dalla Entertaiment Game App, casa produttrice di videogiochi indipendenti ITALIANA, cosa di cui andare fieri e non solo per puro senso nazionalistico, Mi Rasna è un videogioco  dedicato agli etruschi, cosa davvero molto interessante dato che ce ne sono pochissimi in giro dedicati ad essi (se qualcuno lo sa me lo riferisca), di cui ne ero venuto a saperne completamente a caso circa un mese fa nella pagina del contatto facebook di una mia vecchia conoscenza in cui era presente un articolo dove si discuteva del gioco in questione che stava per uscire: nell'anteprima veniva descritto come gioco di strategia gestionale in cui tu interpreti il ruolo di un magistrato locale con il compito di far prosperare la tua città e di difenderla dagli attacchi esterni; alla prime righe avevo pensato ad una sorta di Rome Total War o di Age of Empires in salsa etrusca ma leggendo meglio la descrizione ho subito pensato più a dei gestionali come Caesar o Faraon in cui costruisci dal nulla le tue città e le fai prosperare attraverso varie ere. Fuochino, è vero che il concept di gestione e di difesa della propria città è relativamente simile ma la differenza sta nel fatto che non gestisci una città creata dal nulla ma una delle dodici dodecapoli etrusche realmente esistite: Veio, Tarquinia, Cortona, Volterra (quella che uso io), Vulci, Vetulonia, Populonia, Perugia, Faleree, Caere, Volsinii, Roselle, Fiesole e Chiusi.
Essendo dunque uno strategico gestionale non aspettatevi azione alla Age of Empires o battaglie campali cazzute come nella serie Total War.

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Parte della mappa di gioco in cui vengono raffigurate le città. Quelle con i vari stemmi sono le dodecapoli che si possono scegliere di gestire.

Le meccaniche all'inizio possono apparire un po' complicate ma, una volta lette le istruzioni ed iniziato a mettere mano ad una delle dodici città, si comprende bene come bisogna operare per poter progredire nel gioco.
Mi Rasna è diviso in cinque ere: Villanoviano, Orientalizzante, Età Arcaica, Età Classica, Ellenismo; ad ognuna di queste non ci si arriva attraverso un timer prestabilito ma sviluppando le dodecapoli che abbiamo scelto e le città più piccole collegate ad esse; per poterle sviluppare occorre prima sbloccare le "abilità" di un città (agricoltura, artigianato, esercito e via dicendo) e poi si iniziano a costruire le dovute strutture come gli abitati, le caserme, i campi agricoli, i mercati, i templi etc. Va detto che ogni periodo non è identico a se ma consente di sbloccare nuove abilità che consentono la costruzione di nuove strutture che migliorano ulteriormente la crescita delle città.

Parlando della schermata della costruzione delle città, essa è talmente essenziale da esser praticamente un elenco di materiali necessari per la sua crescita e delle strutture attualmente presenti, quindi niente ubicazione manuale delle strutture da costruire come avviene nella stragrande maggioranza; a prima vista potrebbe sembrare un difetto ma per la stessa struttura del gioco è un pregio dato che servirà una certa immediatezza nell'eseguire determinate azioni in quanto avviene tutto in tempo reale, scorrerie dei nemici comprese, scordatevi quindi di turni in cui ci si può prendere pure mezza giornata nel pianificare ogni singola costruzione; stesso discorso dicasi per le battaglie, anch'esse strutturate in maniera elementare ma relativamente immediata.

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Schermata di sviluppo di una delle dodecapoli, Populonia in questo caso.

Parlando dei gruppi di banditi o soldati avversari che bisogna contrastare, questi non costituiscono una minaccia vera e propria in sé dato che non andranno a distruggere la nostra città, il problema è che si generano all'infinito ed una volta giunti in una città finiscono per rubar via alcune delle risorse che le potrebbero essere utili per poter progredire avanti come il pesce, il grano o la carne, senza contare che più si va avanti nelle epoche e più diventa difficile contrastarli se non si fa evolvere e crescere il proprio esercito nella maniera adeguata.

Va comunque fatta notare una cosa: non esiste una schermata di selezione delle città che vuoi gestire come accade in un Rome Total War ma la mappa consente di poter scegliere in assoluta libertà le proprie dodecapoli: si può decidere di concentrare le proprie attenzioni su una sola città nelle fasi iniziali per poter prender meglio dimestichezza col gioco e le sue meccaniche, in seguito è possibile scegliere di far sviluppare quando e quanto si vuole una o altre più dodecapoli presenti sulla mappa; se poi uno ha pazienza e vuole strafare, è possibile gestire tutte e 12 le città in questione, creando così degli eserciti che si riesce a far cooperare per poter far fronte a delle minacce troppo grandi per una singola armata.

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Schermata di arruolamento esercito, ogni città ha un suo esercito che si riempie grazie al numero di abitanti liberi di tale città,per aumentarne le dimensioni occorre quindi far crescere la propria città.

Cosa non da poco è la presenza del Fanum Voltumnae, un'assemblea dei rappresentanti delle 12 dodecapoli in cui si possono chiedere più soldi per costruire strutture, più risorse per far crescere le città, più abitanti per popolare le città etc., per poter ottenere delle risposte positive alle proprie richieste è necessario riempire la barra del rapporto che si ha con anche una sola delle dodecapoli, come? Completando delle missioni i cui si chiede di consegnare un tot di risorse entro un tempo limite, compiendole si ottengono soldi per andare avanti nel gioco e fama per non prendere due di picche ad ogni assemblea.

A questo punto uno si chiede: dove sta l'incontro con l'archeologia? Sta in una serie di elementi che elenco adesso: 
  1. La possibilità di guadagnare monete attraverso dei quiz di archeologia riguardanti le dodecapoli, ognuna di queste ha la propria tabella di domande a cui bisogna rispondere correttamente, il che è abbastanza utile per farsi un pochino di cultura per riguardante il periodo etrusco
  2. Puzzle in cui devi completare una figura, in questi casi un reperto archeologico etrusco; per ogni immagine completata è presente una descrizione relativa ed 800 monete d'argento per andare avanti nel gioco.
  3. Descrizioni estrememente accurate per ogni singolo elemento riguardante gli etruschi: i periodi (dal Villanoviano fino all'Ellenistico), le singole città con la loro storia ed i loro rinvenimenti archeologici, tutto questo viene spiegato nei minimi dettagli grazie all'aiuto di un team competente nella materia che viene trattata
  4. La possibilità di poter guadagnare botte di soldi (virtuali, non equivocate) presenziando nelle più importanti strutture dedicate agli etruschi ed all'archeologia etrusca in generale, una cosa che mi ha ricordato un poco Pokemon Go ma che risulta geniale nell'ambito della divulgazione e fruizione dei beni culturali.
Eccovi l'elenco dei posti che potete visitare per ottenere monete extra.

Come potete facilmente immaginare, l'archeologia e la conoscenza della storia degli etruschi non sono un semplice contorno ma costituiscono parte importante nello svolgimento del gioco per poter gestire al meglio le proprie dodecapoli.

In definitiva, posso affermare che questo gioco, in un mondo sempre più tecnologico e zeppo di gente dipendente dagli smartphone, rappresenta un ottimo mezzo di divulgazione archeologica in quanto riesce a far conoscere la storia degli etruschi in modo abbastanza coinvolgente ed interessante. L'unica pecca è che il gioco potrebbe presentare ancora qualche piccolissimo bug (è uscito un mese fa), tuttavia gli sviluppatori del gioco si sono mostrati veramente cordiali, capaci e collaborativi nel risolvere ogni singolo problema riguardante il loro prodotto e per questo meritano ogni plauso ed incoraggiamento possibile.
Consiglio dunque questo gioco a chi vorrebbe per una volta giocare nei panni degli etruschi (mai cagati dalla grossa industria videoludica che ha sempre preferito greci, romani, vichinghi, egizi e cose varie) e per chi vorrebbe semplicemente un gestionale con cui passare il tempo senza pensare troppo alla componente bellica.

Spero che questo articolo vi sia piaciuto e che abbia contribuito ad invogliarvi almeno a provare questo giochino; spero inoltre che questo possa fornire gli spunti necessari per la creazione di un gioco simile ma ambientato nella nostra Sardegna dal Neolitico fino all'Età del Ferro.

Al prossimo articolo ;)

lunedì 21 maggio 2018

Cosa ha ispirato la costruzione dei nuraghi e la loro evoluzione concettuale?



In un articolo precedente avevo discusso sulla possibilità dell'esistenza di una struttura più antica che possa aver ispirato la costruzione dei primi nuraghi che, ricordiamolo, non erano le torri di pietra troncoconiche che tutti o le fortezze di pietra fatte da più elementi, come Su Nuraxi di Barumini, che tutti noi conosciamo ma degli edifici di varie forme che, a livello generale, si sviluppavano più in estensione che in larghezza.
Nell'articolo (https://illeggiadromondodimartino.blogspot.it/2018/04/esiste-una-struttura-che-abbia-ispirato.html) avevo analizzato questa possibilità verificando se nella Sardegna e nelle altre parti del Mediterraneo, durante età del Rame e del Bronzo antico, esistessero costruzioni del genere che avessero fatto da "muse ispiratrici"; la risposta è stata negativa in quanto non ho riscontrato presenza di strutture simili.

Era chiaro, arrivati a questo punto, che ciò che ha creato i primi nuraghi è essenzialmente un'idea data da una precisa esigenza. Quale? In questo articolo cercherò, al meglio delle mie limitate capacità, di spiegare quali sono state le dinamiche che hanno portato alla creazione dei primi nuraghi, vale a dire i protonuraghi (o nuraghi a corridoio se preferite) e quali furono invece quelle che hanno portato ad una standardizzazione della loro forma e diversificazione delle funzioni.

Partiamo dai presupposti: nel Calcolitco (sinonimo dell'età del Rame) abbiamo visto il nascere di villaggi fortificati nel nord Sardegna in cima a colli, villaggi tipici dell cultura Monte Claro, la cui esistenza si contrappone, da un punto di vista strettamente materiale (reperti e strutture) alle culture Filigosa ed Abealzu, quindi è possibile osservare per la prima volta una divisione della popolazione all'interno della Sardegna e l'esigenza esigenza di un controllo del territorio attraverso dominio visivo delle vallate sottostanti già a partire dal IV millennio a.C. .
Nel Bronzo antico compaiono due elementi piuttosto interessanti: la tomba dei guerrieri rinvenuta a Sant'Iroxi e i primi segni di una sepoltura ancora più collettiva di quelle delle età precedenti con la creazione delle primissime tombe dei giganti (che, ricordiamolo, sono un'evoluzione concettuale dell'alleé couverte, una sorta di dolmen allungato presente in Sardegna già dall'età del Rame). Questi elementi fanno pensare ad una situazione in cui A) la collettività stava iniziando ad avere un ruolo di maggior rilievo, B) erano necessari gruppi armati per la difesa del villaggio dal quale provenivano se non del territorio che controllavano partendo da quest'ultimo.

Tomba di Sant'Iroxi ed i suoi rinvenimenti, notare la lama della daga in rame arsenicato a destra.

Arrivati a questo punto, era chiaro che servisse una struttura che potesse svolgere la funzione di controllo del territorio e che rappresentasse allo stesso tempo coloro i gruppi che svolgevano tale funzione partendo dal villaggio in cui risiedevano. Tale edificio doveva essere imponente, in modo da impressionare quelli provenienti dagli altri villaggi che lo avessero osservato, e torreggiante in modo che in cima ad esso si potesse avere un dominio visivo del paesaggio in modo da poterlo controllare meglio.
Nascono così, agli inizi del Bronzo medio, i primi protonuraghi, strutture enormi che erano sia il centro che rappresentazione del potere dei vari capivillaggio sugli insediamenti in cui sorgevano e sui territori correlati. Arrivati a questo punto, uno dirà: cosa centra la collettività se parli di sede di potere dei capivillaggio?

Una bella domanda a cui cerco di dare la migliore risposta possibile: se devi costruire delle struttura di pietra imponenti che e devi avere a che fare con una manodopera limitata agli abitanti del tuo villaggio (e non aspettatevi una cosa come Micene, Ugarit o Babilonia) ed un quantitativo di risorse non indifferenti (pietra in primis), non puoi certo permetterti di fare il "non mi tocchetti che mi caghetti" della situazione come i faraoni d'Egitto e neppure fare distinzione fra patrizi e plebei nella Roma repubblicana prima della secessione dell'Aventino o tra baroni e servi della gleba in pieno Medioevo; pertanto tu e i tuoi compari dovete collaborare.
Appare quindi verosimile, almeno dal mio punto di vista, che esistessero delle figure di maggiore importanza nei singoli villaggi ma che non fossero delle figure totalmente autarchiche come il gran re di Persia, i diadochi, i faraoni o gli imperatori romani, ma una sorta di primus inter pares come i re di Sparta od i sovrani gallici descritti nel De Bello Gallico di Giulio Cesare (so che l'espressione stessa era stata coniata per gli imperatori romani a partire da Augusto ma era puramente di facciata visto che tutti i poteri erano di fatto nelle loro mani).

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Nuraghe monotorre Santa Sarbana, Silanus (NU).

Con il passare degli anni e dei secoli, avviene un aumento di popolazione all'interno dei singoli villaggi che causa un surplus di abitanti rendendo dunque necessaria la fondazione di altri villaggi e la costruzione di nuovi nuraghi, sia per rappresentanza che per il controllo del territorio; assistiamo inoltre a cambiamenti importanti: A) i protonuraghi di varie forme diventano i nuraghi monotorre troncoconici che tutti noi conosciamo, sviluppati più in altezza che in estensione, in modo da poter avere un dominio visivo ancora più ampio del territorio su cui venivano costruiti; B) alcuni nuraghi vengono (apparentemente) costruiti senza che ci sia necessariamente un villaggio correlato ad essi.
Appare chiaro quindi che, sempre nel Bronzo medio, venga data maggiore importanza al controllo del territorio che non alla mera raffigurazione di potere.

Questa tendenza, però, sembra riequilibrarsi con la comparsa, nel Bronzo recente, dei primi nuraghi complessi; questi ultimi, in alcuni casi, nascono come nuraghi semplici per poi vedersi aggiunte altre torri (Su Nuraxi di Brumini), in un caso abbiamo addirittura un protonuraghe che viene convertito in nuraghe complesso (Su Mulinu di Villanovafranca). La loro presenza e le loro dimensioni indicherebbero infatti la presenza di capivillaggio dotati di maggior influenza/potere rispetto a quelli che risiedevano nei nuraghi monotorre  (tenere conto che si parla sempre di quelli correlati ai villaggi) o nei polilobati (sinonimo di nuraghi complessi) di minori dimensioni; si ha quindi un ritorno ad un'esigenza sia di controllo che di ostentazione della propria forza rivolta non solo ai villaggi/nuraghi lontani ma anche a quelli vicini che avevano un rapporto di stretta collaborazione e vicinanza con i nuraghi complessi più grandi. Per far capire meglio il concetto vi faccio vedere una mappa estratta dal mio lavoro di tesi magistrale.

Sistema dei villaggi nuragici in un'area compresa tra il comune di Aidomaggiore e quello di Borore. I nuraghi Bighinzones, Porcarzos, Maso 'e Majore e Meddaris sono quadrilobati; Sanilo e Tresnuraghes trilobati; Busazzone un tancato (con due torri, una di fronte all'altra).

Nella mappa che vi ho mostrato vi sono alcuni piccoli gruppi di nuraghi con o senza villaggi nuragici che sembrano vivere un rapporto di strettissima collaborazione in quanto, come è ben visibile, sono costruiti a distanze estremamente ravvicinate; tra questi in particolare spiccano Bighinzones e Meddaris, quadrilobati i cui villaggi correlati ed i capivillaggio che li abitavano stavano verosimilmente al vertice dei raggruppamenti di nuraghi e villaggi di cui facevano parte.

Spero che il mio articolo vi sia piaciuto e che possa anche aver chiarito alcuni dei dubbi a chi si chiedeva quale fosse la funzione dei nuraghi (sembra una banalità ma ci sono persone che non sanno ancora che funzione avessero i nuraghi o che affermano, erroneamente, che fossero templi).

Al prossimo articolo ;)

Edit: mi sono accorto che la mappa dei nuraghi distribuiti in zona presentava degli errori, pertanto ho ritenuto opportuno sostituirla con una corretta, chiedo dunque scusa per aver fornito un'informazione errata.