lunedì 26 marzo 2018

Le vecchie strutture rurali hanno valore culturale?


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È da quando ho fatto un articolo per il Ruraland a Sassari (che spero sia pubblicato il prima possibile) che ho riflettuto sulla definizione di "culturale" da attribuire a determinati elementi, mobili (monumenti, opere d'arte, manufatti e via dicendo) od immobili (chiese medievali, edifici storici ed altro ancora) che siano. Perché affibbiamo quel tipo di valore ad un oggetto?
È perché si tratta di un opera di grandissima qualità artistica realizzata da mani sopraffine di artisti geniali? Può essere, però allora tutto quello che risulterebbe "brutto" (o meglio, non risulta bello secondo il gusto di tutti), pur essendo prodotto in tempi antichi, sarebbe da scartare nell'ambito degli oggetti di valore culturale, il che sarebbe deleterio (non sto dicendo che non lo hanno, non equivochiamo).
Dunque tutto ciò che è antico, o comunque molto vecchio, va considerato come dotato di valenza culturale? Potrebbe benissimo essere, tanto che esiste una norma in italia in cui qualsiasi opera di privati avente più di 70 anni viene definita come bene culturale. Ridendo e scherzando, se non cambiano leggi come sempre fanno, pure gli sgorbi che ho creato col das e l'argilla potrebbero acquisire dignità di bene culturale.

Ecco a voi i miei aborti le mie opere d'arte. Avete poco da ridere perché tra 70 anni, se tutto va bene, questi saranno riconosciuti come beni culturali (magari!). E, se passeranno almeno 500 anni, saranno classificati come beni archeologici (sempre se non verranno buttati nella spazzatura).

Però la sola attribuzione per il mero fatto di essere antico non è sufficiente. Che cosa è allora che fornisce loro questa definizione? Secondo la definizione ufficiale attualmente vigente in italia, basata su quella internazionale, i beni culturali sono tutte le testimonianze, materiali e immateriali, aventi valore di civiltà; vale a dire che ciò che viene considerato come capolavoro o testimonianza storica/prodotto di una determinata cultura o civiltà, sia esso un quadro, un'opera letteraria, una chiesa medievale, una festa popolare come la sartiglia od un sito archeologico, assume il valore di bene culturale. La definizione in se è molto completa in quanto copre ciò che è tangibile e ciò che è intangibile.

Nella creazione di un bene culturale, però, non opera soltanto il genio del singolo o dei gruppi che lo creano ma è anche il contesto culturale in cui l'artista e/o il collettivo si trova. Ciò significa che se artisti geniali come Michelangelo, Raffaello, Leonardo da Vinci, Caravaggio e Bernini si fossero trovati in contesti differenti rispetto a quelli in cui hanno vissuto, molto probabilmente, non avrebbero prodotto i capolavori che tutti noi conosciamo.

Fatta questa digressione sul significato di bene culturale e su cosa la crea, veniamo al dunque: può un pinnettone del XVIII-XIX secolo avere la stessa dignità culturale di un palazzo nobiliare di quello stesso periodo? Si, lo stesso vale per tutte le strutture agro-pastorali di periodo storico che vedete sparse per la campagna.

No, non state equivocando, si, avete letto bene quanto scritto, no, non mi sono bevuto una bottiglia di grappa o due bicchieri di latte di suocera a stomaco vuoto e sono consapevole e responsabile di quello che ho scritto e di quanto sto per scrivere, ragion per cui continuate a leggere.



Capanna usata da pastori come punto di ricovero durante la transumanza. Brutta quanto volete ma ha valore di bene culturale.

Per quanto neppure paragonabili dal punto di vista artistico, le architetture nobiliari od urbane e quelle pastorali di uno stesso periodo sono frutto non solo delle mani che le hanno create, ma anche degli ambienti e dei diversi contesti culturali che le hanno prodotte. Il discorso, inoltre, non si applica soltanto alla struttura in se ma anche alle funzioni ed alle usanze ad essa legate: dietro ad un recinto in pietra per contenere delle scrofe gravide, delle pinnette per riparare e far riposare il pastore e delle capanne per contenere pecore c'è dietro una storia di modalità e di tradizioni pastorali che sono state attuate dai pastori del tempo e che furono tramandate ai posteri dal periodo spagnolo e sabaudo fino alla metà del '900 (la transumanza era praticata in Barbagia fino agli anni 50-60, se non ricordo male); non è sbagliato, dunque, affermare che le strutture agro-pastorali che vedete nelle campagne, siano da considerare come dotate di valenza culturale in quanto parte di una parte della cultura sarda e della sua storia, quella pastorale.


In sintesi: le strutture agro-pastorali di periodo storico che vedete nelle campagne, quando cercate funghi in autunno ed asparagi in primavera, sono un bene culturale in quanto sono il prodotto non solo dei pastori che le hanno create ma anche del contesto e dell'ambiente culturale in cui essi hanno vissuto. E, ripeto, non sono ubriaco o sotto effetto di stupefacenti nell'aver scritto queste cose.


E voi come la vedete? Se siete d'accordo o in disaccordo con quanto scritto dal sottoscritto, non fatevi problemi, commentate.


Ci si vede ;)

mercoledì 21 marzo 2018

Un nuovo manuale sull'archeologia nuragica: perché è difficile farlo e le alternative attualmente presenti

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Chiunque sia del settore dell'archeologia, studente, dottorando, ricercatore e professore, per ogni materia che ha dovuto studiare c'era dietro un libro, solitamente di dimensioni ragguardevoli, in cui venivano racchiuse tutte quante le caratteristiche e le scoperte della civiltà che si voleva studiare, sia essa romana, cartaginese, celtica, bizantina e via dicendo.
Questi libri, per quanto dei mallopponi, sono imprescindibili se si vuole avere una nozione più completa possibile sull'argomento che si portava all'esame in modo da poterlo comprendere al meglio o anche soltanto per portarsi a casa un bel voto per poi toglierselo dai maroni. In alternativa ci si registrava le lezioni e le si sbobinava per poi passarle alla propria cerchia di amici, in modo da risparmiarci pure soldi vista che i nostri cari libroni non erano certo cosa da 15 €, oppure, sempre per risparmiare denaro, li si pigliava in prestito e li si fotocopiava in modo da renderli sottolineabili senza aver sensi di colpa riguardanti l'incaddozzamento di suddetto libro.

L'archeologia prenuragica e nuragica hanno anche loro i propri manuali, due per la precisione: "La Civiltà dei Sardi" di Giovanni Lilliu e "La Sardegna Preistorica e Nuragica" di Ercole Contu. Entrambi comprendenti un periodo che va dal Paleolitico fino all'età del Ferro, entrambi posseduti dal sottoscritto.
Ho sempre preferito il libro di Contu a quello di Lilliu in quanto scritto meglio, più sintetico e completo mentre "La Civiltà dei Sardi" l'ho sempre trovato un mattone: pesante, con una scirttura tanto ampollosa di farlo sembrare più un poema od un romanzo di serie B che un manuale e, la cosa peggiore per un manuale di archeologia, con in gioco spesso un sentimentalismo spicciolo in cui viene messa in gioco la "costante resistenziale sarda", in cui gli eroici sardi nuragici che odiano il mare (il sale dava fastidio alla loro pelle, vai a saperlo) e sopportano con fastidio i fenici solo perché portano a loro merci (che però stanno sul culo perché sono stranieri) e lottano alla fine con fierezza contro punici e romani (cosa vera ma, repetita iuvant, con un sentimentalismo da farlo sembrare una specie di romanzo di serie B più che un manuale serio).

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I miei compagni di studio nel periodo triennale; quello a sinistra è stato subito sfanculato per i motivi sopra riportati.

Fatta questa piccola digressione su quale tra i due manuali preferisco, va purtroppo fatto notare che entrambi i libri mostrano una visione antiquata con datazioni e dati obsoleti e pertanto andrebbero aggiornati, purtroppo i due archeologi sopracitati sono passati a miglior vita (avevano più di 90 anni, vorrei ben dire) ed anche se fossero ancora vivi non avrebbero alcuna voglia di aggiornarsi (chi cappio te lo fa fare, una volta pensionato, di farti un corso di aggiornamento intensivo). Il che non sarebbe comunque un gran problema... se esistessero altri manuali fatti da gente più giovane, competente ed invogliata. È questo il problema: non esistono altri manuali oltre a quelli delle buon anime di Contu e Lilliu. Perché?

Un problema piuttosto seccante è la mole di lavoro che ci sarebbe da fare adesso: con tutte le scoperte effettuate, tutte i dati aggiornati, le nuove cronologie ed i siti prenuragici e nuragici scoperti servirebbe, per essere più spediti possibile, una reclusione in un convento di monaci certosini e privarsi do ogni tipo di vita sociale per almeno 3 anni in modo da rimanere concentrati giorno e notte sul proprio lavoro.
Un altro problema parecchio rognoso è il fatto che ogni anno vengono fatte nuove scoperte, spesso sensazionali (basti pensare ai modellini di nuraghe ed al corno di pietra rinvenuti a San sperate nel '75 e riscoperti poi da Alberto Mossa) per cui, visto che i libri non sono delle applicazioni per android, una volta che uno ha appena cagato sangue per 3 anni per fare tale manuale, ecco una nuova scoperta archeologica che lo costringe a rimettersi in marcia per aggiornare la sua opera che è appena stata resa obsoleta in un punto da una scoperta archeologica. E gli stessi titolati a redarre un manuale sono gli stessi che lavorano nei siti archeologici e fanno le dovute scoperte, quindi non avrebbero tempo da dedicare alla realizzazione di un simile malloppo in quanto servirebbe la consultazione di una montagna di libri in cui vengono riportate tutte le più recenti scoperte nei vari aspetti dell'archeologia nuragica.
E li comprendo benissimo: se fossi al loro posto, non me lo farebbe fare nessuno, con uno o più scavi da gestire e da battagliare per ottenere soldi e permessi dalle soprintendenze, di sclerare a cercare i libri e stare dietro il pc nel poco tempo libero rimanente in modo da sfornare un completo ed aggiornato in ogni singolo aspetto dell'archeologia prenuragica e nuragica.

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Tre anni appresso il proprio lavoro e all'improvviso una nuova scoperta che ti porta ad iniziare da capo possono dare luogo a reazioni violente...

A questo punto uno dice: perché non unire i vecchi manuali con le nuove scoperte? Si potrebbe tranquillamente fare, il problema è che tali scoperte entrerebbero in contraddizione con buona parte del manuale, essendo questo obsoleto, in questione, pertanto sarebbe davvero difficoltoso a meno di non strappare le pagine con le scoperte obsolete e di rimpiazzarle con le nuove, operazione che sarebbe comunque alquanto bizzarra (io stesso mi chiedo perché la sto scrivendo)
.
Oppure: perché non studiare dalle pubblicazioni dei vari convegni sul tema dell'archeologia nuragica in Sardegna? Una buona idea visto che è proprio nei convegni che vengono esposte le ultime novità nelle materie a cui essi sono dedicati; io stesso, al mio esame di preistoria e protostoria della Sardegna con professor Moravetti, a Sassari, ho studiato dal convegno di Barumini del 2009. Il punto è che nei convegni ci sono 100 teste ed altrettanti berretti, ciascuno che pubblica col proprio modo di scrivere (ancora mi viene il mal di testa a pensare all'articolo di Vincenzo Santoni, santo cielo!), ciascuno con la sua opinione al riguardo... che alle volte contrasta con quella del relatore successivo o precedente. Credetemi: non è facile studiare ed apprendere quando due personaggi dicono la loro contraddicendosi.

Ragion per cui è quantomeno necessario, soprattutto per i nuovi studenti che arrivano nelle università, creare un manuale completo in ogni dettaglio dell'archeologia prenuragica e nuragica visto che alternative qui presenti presentano le difficoltà appena citate.

Concludo dicendo che in linea definitiva non ci si deve basare solo sul manuale ma è anche importante seguire le nuove scoperte archeologiche che vengono pubblicate nei quaderni di archeologia (esiste il sito internet apposito, 
http://www.quaderniarcheocaor.beniculturali.it/index.php/quaderni/index) o nei convegni /congressi dedicati visto che, come detto prima, i libri non si aggiornano automaticamente.

E voi cosa ne pensate? Fatemi sapere e lasciate un commento al proposito.

Ci si vede ;)

lunedì 19 marzo 2018

Opinioni spicciole: Facebook peggiora le persone ed il loro carattere o le mostra per quello che sono?


Anche questa volta stacco dall'archeologia e mi cimento in qualcosa che speravo da tempo di fare ma che non ho mai avuto la lucidità e la consapevolezza di fare dato che riguarda una cosa sulla quale ci sono passato pure io: Facebook. E tutti i problemi che ne derivano.

Premetto fin da subito che non sono uno psichiatra di prima classe come Vittorino Andreoli, né un filosofo coi contro-fiocchi come Umberto Galimberti e neppure un sociologo di alto livello, io sono soltanto uno che gestisce un blog in cui si parla prettamente di archeologia, ciò che scriverò si basa solo su mie esperienze personali nella vita di tutti giorni, non pretendo pertanto che abbia valore assoluto ed aggiungo che sarà altamente discutibile e contestabile da tutti. Fatta questa premessa, cominciamo!

In un mondo che diventa sempre più interconnesso e tecnologico, Facebook è un aggregatore sociale molto forte che consente di farti conoscere ed apprezzare per i contenuti che porti, pubblicizzarli (il 99,9% delle visual di questo blog viene dal social media in questione) ed incontrare nuove persone (basti pensare che la mia ragazza l'ho conosciuta, tramite l'intercessione di un amico comune, su Facebook). E visto che l'umanità in sé è un vero miscuglio di bene e male, ad interagire nei vari punti della nostra amata piattaforma succede di venire a contatto con le cose più sordide e gli elementi più puzzolenti che la infestano.

Fake news che alimentano odio e distorcono la realtà; pagine e gruppi fatte da disagiati che postano contenuti stupidi e discutibili; razzismi ed omofobie; personaggi un tempo famosi ma caduti nel dimenticatoio che scrivono boiate per riacquistare fama; complottismi; gente che ti insulta nei modi peggiori perché non sei d'accordo con quello che dice/pensa la persona in questione; personaggi che conosci e che dicono un susseguirsi di cose idiote e spesso contraddittorie con quel che prima dicono o pensano solo per prendere "mi piace" e farsi scrivere "BRAVO", "TI LOVVO", "SEI UN MITO", "SEI UN GENIO" "SEI UN GRANDE", e altre cose che non fanno altro che gonfiare il suo vasto ed allo stesso tempo fragile ego; altri personaggi che si ergono a divinità; gente che ti fa lo screenshot di cose che dici e che le pubblica in gruppi o cerchie di amici, senza coprire il tuo nome o il tuo profilo, solo per il gusto di farti a pezzi alle spalle senza che tu possa rispondere...  ed altro letame ancora.

Facebook, ultimamente, si è rivelato una grande cloaca in cui riversare la propria cacca o rischiare di essere insozzati da quella altrui; la cosa peggiore è che non si tratta solo di troll che si nascondono dietro nominativi falsi, ma anche di persone che ci mettono nome e cognome. Chiunque siano poco importa, contribuiscono sempre a rovinare la tua giornata o, cosa peggiore, a proiettarti in un vortice di disagio drogoso in cui sei assuefatto da tutto il letame virtuale che sorbisci ogni giorno che passi sul social media in questione.

Ma queste persone di che genere sono? Dei Gollum con mente/cuore/sensi/dita attaccate allo smartphone o alla tastiera del pc? Non proprio.
Io ho parlato più e più volte dal vivo con tipi di persone simili e, per come io la vedo, si tratta spesso di persone tranquille che stanno nel proprio e che badano ai loro conti tutti i giorni ma che hanno determinate cose che non funzionano nella loro vita e per le quali soffrono molto: mancanza di amore, di affetti e/o di amici con conseguente solitudine che ne deriva; disoccupazione e la difficoltà a trovare un lavoro (anche il più umile) oppure frustrazione per non essere arrivati a determinati obbiettivi in ambito lavorativo come il non trovare il lavoro per il quale ci si è fatti il mazzo studiando con le conseguente e sgradevole sensazione di esser dei perdenti e dei falliti; tutte queste cose hanno conseguenze spesso molto gravi verso il proprio umore, la propria autostima, la fiducia in se stessi ed anche la propria sanità mentale, pertanto succede che uno arrivi a sfogare il proprio malessere alla prima occasione.
Ed è su Facebook che viene molto più facile vomitare la propria bile ed il proprio livore. Perché?

Scendere da solo in strada o salire su in terrazzo ed urlare la propria disperazione, la propria frustrazione e le proprie paure ti farebbe soltanto guadagnare A) una possibile denuncia per disturbo della quiete pubblica; B) occhiate stranite miste a disprezzo e compassione da parte di chi ti osserva in quanto crede di avere a che fare con un povero malato mentale; C) un video su cellulare pubblicato su Youtube o su pagine Facebook come Welcome to Favelas con conseguente derisione e sputtanamento permanente della propria persona. Insomma, non è socialmente visto di buon occhio. Pertanto serve qualcosa che renda il tuo sfogo un tantino meno rumoroso e più "accettabile". Servono internet ed uno schermo.

Che un monitor ti fornisca protezione è una cosa detta e ridetta ma, paradossalmente, mai banale perché non è solo una barriera che ti permette di dire le peggio cose al Mike Tyson di turno che se gli dici anche soltanto "oh" con fare leggermente polemico ti fa ingoiare i denti con un cartone in faccia, ma è anche la via più facile e diretta per sfogare tutte le tue frustrazioni, le tue insicurezze, la tua rabbia e la tua paura senza avere paura che la gente ti guardi strano o storto. E soprattutto è il modo migliore per reggere discussioni in merito a delle opinioni contrastanti tra due o più individui in quanto da tutto il tempo di riflettere su quello che si scrive mentre nella vita reale uno, che abbia torto o ragione, è molto più facile che ne esce sconfitto perché incapace di argomentare sul momento.

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Nel frattempo che scrivo questo, eccovi una mappa delle persone che si intrattengono nella nobile arte dell'insultarsi la mamma a vicenda.

Ora arriviamo al punto: come si sfoga la persona in questione? Scriverà la propria frustrazione sul fatto che non riesce a lavorare manco come portapizze? Scriverà stati di pura autocommiserazione perché è un poveraccio senza un amico o perché non ha un partner amoroso? Si e no, nel senso: non sempre scrive stati del genere.
Lo sfogo, infatti, può avvenire per vie indirette come per esempio metterci parecchia cattiveria negli status in cui esprime una propria opinione riguardo a quello che succede intorno ad essa o a quello che la coinvolge in via diretta o indiretta, alle volte può anche mettercela riguardo a cose più frivole come le persone che condividono cose (secondo tale persona) stupide o sbagliate; nel mentre che lascia un commento, diventa ancora più sprezzante e aggressivo nei confronti degli interlocutori che non la pensano affatto come la pensa lui e spesso innesca litigate virtuali in cui sfoga tutto il suo livore ma che al tempo stesso lo rendono vittima di quello altrui con tanto di insulti pesanti che lo faranno sentire ancora peggio di prima visto che lo schermo che gli forniva protezione da eventuali cazzotti alla Bud Spencer non gli rende possibile sfondare la faccia a calci a trassa di Chuck Norris al tipo che gli è andato di cattiveria infamandolo pesantemente sul personale.

Quello che in sostanza voglio dire è che, il più delle volte, chi si mette a scrivere cose discutibili e spesso stupide su Facebook non è un mostro partorito dalla mente di Lovecraft o di Kentaro Miura ma bensì una persona normale, con le sue qualità ed i suoi difetti, che magari vive vicende poco piacevoli e che cerca una via per sfogarsi.

Perché su Facebook, è visibile soltanto un lato, positivo o negativo che sia, delle persone con cui interagiamo o di cui vediamo il commento e pertanto, è altamente possibile che un tizio che si lamenta sui social network, spesso usando un italiano altamente incerto e sgrammaticato, degli immigrati che sbarcano da noi e dei fantomatici 35 euro al giorno che riceverebbero, dei i vaccini che causerebbero malattie, delle unioni gay, che rimpiange il Duce o che si beve su ogni bufala che gli capiti sotto gli occhi, magari nel mondo reale aiuta le persone anziane se queste si sentono male per strada, o magari da una mano volontariamente a portare la macchina devastata di un povero cristo di passaggio dal proprio meccanico di fiducia, oppure da passaggi agli autostoppisti presenti nelle superstrade.

Viceversa, è altrettanto possibile che uno che su Facebook parla di meritocrazia, di integrazione delle minoranze, di lotta all'omofobia, facendo bei discorsi intelligenti ed accattivanti con un italiano impeccabile e smontando le fake news con dati chiari e concisi alla mano, nasconda in realtà di essere uno stupratore seriale o di trattare la propria moglie/fidanzata (e forse anche i figli) come un sacco da boxe.

Poi, per carità, ci sono sempre i testa di pene che vogliono zittire la tua opinione a tutti i costi con ogni metodo possibile (per esempio a suon di minacce) o che vogliono infangare e sputtanare la tua persona con le peggio infamate (screenshots a nome, cognome ed immagine profilo scoperta con relative dosi di sterco date da svariati gruppi di persone), su quelli possiamo stare tranquilli, sono feccia.

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La categoria appena citata nell'ultima frase, notare l'espressione superba e lo sguardo astuto.

In conclusione ritengo che Facebook raramente mostri una persona per quello che è nella realtà visto che ne conosciamo soltanto un lato, quello che ci appare nei vari status, autoscatti e commenti, che ci possono piacere o meno; penso inoltre che un suo abuso porti ad un peggioramento della persona visto che ha comunque modo di svuotare la propria bile ed il proprio livore in maniera del tutto "sicura" e che una volta fatto inizi ad abituarsi a farlo più spesso. E secondo me queste persone farebbero bene a staccare per qualche tempo. Come il sottoscritto ha fatto 9 mesi prima di riscriversi.

Spero che questa buona dose di Opinioni spicciole sia stata di vostro gradimento, ci si vede al prossimo articolo ;)

P.S.: Si ribadisce che l'articolo è solo esposizione del libero pensiero dell'autore, che, ricordiamolo, non è né psichiatra e né filosofo o sociologo, pertanto il suo valore è tale e quale ad una discussione al bar con birra alla mano.

martedì 13 marzo 2018

La questione degli shardana: un'altra bella gatta da pelare.

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Se c'è un dibattito che in quanto a frequenza, durezza, onnipresenza e varietà dei toni di discussione (anche se prevale un tono parecchio aggressivo) possa rivaleggiare e superare quello sulla scrittura nuragica,  è senz'altro quello sugli shardana. Un dibattito che si trascina da un innumerevole numero di anni ma che solo con l'archeologo Giovanni Ugas è entrato in tutta la sua mole nell'ambito delle università sarde.
Tenendo conto del fatto che molti sanno già di cosa sto trattando, andrò a spiegare a quei pochi che non sanno chi sono gli shardana: sono una componente dei cosiddetti "popoli del mare" (ma in realtà ne si parla tempo prima della venuta di questi ultimi) che vengono menzionati nella stele di Ramses II rinvenuta a Tanis, in cui sono definiti dei guerrieri estremamente forti e valorosi, e nel Papiro Harris, in cui si descrive la vittoria di Ramses III contro di loro e i weses (altra componente dei popoli del mare) e la seguente sottomissione e deportazione di questi nelle città.

Vista l'assonanza del loro nome col termine Sardegna, vista la somiglianza dei loro elmi con quelli nuragici (ambedue cornuti) e vista la menzione nelle stele delle "isole in mezzo al Grande Verde" (dove per Grande Verde si intende il mare) che vengono interpretate come la Sardegna e la Corsica, si è dibattuto a lungo sulle loro origini sarde; gli appassionati in particolare vedono con entusiasmo e piacere una loro provenienza dalla nostra isola, soprattutto per il fatto di essere dei guerrieri che avrebbero terrorizzato il Mediterraneo e dato filo di torcere al Regno d'Egitto ed ai faraoni con cui ebbero a che fare (mica noccioline); talvolta, purtroppo, questa enfasi piglia una bruttissima piega e sfocia nel delirio di certi personaggi, spesso e volentieri affetti da un brutto complesso di inferiorità, che aggrediscono verbalmente in malo modo quelli che non la pensano come loro ed accusano su facebook le soprintendenze e le università di complottare con lo stato italiano, i banchieri, le lobby ebraiche, il NWO ed i rettiliani per nascondere la grandezza del nostro passato in cui dominavamo tutto il Mediterraneo e creato tutte le civiltà fino ad oggi esistenti. E già che c'erano, pure l'energia atomica.


Il leader dei rettiliani nel drammatico momento in cui viene a sapere che i sardi hanno capito che sono gli antenati dei grandi guerrieri shardana; anni e soldi spesi per corrompere le università e le soprintendenze sarde buttati nel cesso.

Messa in un angolo la parte tragicomica della cosa, analizziamo la questione degli shardana partendo dai dati che abbiamo a nostra disposizione. 

1) Le isole in mezzo al Grande Verde. Gli egizi danno dei nomi precisi ad isole precise di loro conoscenza quali Alaisha (Cipro), Keftu (Creta); mentre questa "isole in mezzo al Grande Verde" è una definizione parecchio fumosa che da adito a molte ipotesi a quali isole si riferissero effettivamente gli egizi: si parla di isole che starebbero in mezzo al mare e questo farebbe pensare alla Sicilia, alla Sardegna, alla Corsica e alle Baleari.

2) Il nome stesso, shardana. Bisogna tenere conto da subito che si tratta di un nome ALLOCTONO, ovvero dato da un'altra popolazione e non da loro stessi; la storia è piena di popolazioni note e conosciute grazie a nomi alloctoni; due casi tra tutti sono i fenici (che tra di loro si chiamavano tiri, sidoni e bibli) e gli spartani (che tra di loro si chiamavano lacedemoni, qualcuno di dovere lo riferisca a Frank Miller). Tuttavia non sembrano essere i soli a chiamarli così in quanto nelle lettere del El Amarna, in accadico cuneiforme, è viene menzionata l'uccisione di uno SERDANU, da identificare con gli shardana; altra menzione importante è nelle lettere di Ugarit, col nome ugaritico di SERIDANI/SIRTANI/SERTANNI. Va citata infine la stele di Nora, seppur risalente ad un periodo molto posteriore (età del Ferro, mentre le menzioni precedenti risalgono al Bronzo recente-finale), che cita chiaramente la Sardegna col nome SHRDN.

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Stele di Nora (destra) e lettera di El Amarna in cui è menzionato uno shardana.

3) Il loro armamentario è simile in alcuni punti a quello dei nuragici: hanno un elmo cornuto simile ma con corna piccole (e vorrei vedere come fai a muoverti bene con delle corna enormi come quelle riprodotte nei bronzetti) ed hanno un gonnellino a punta tipicamente orientale riscontrabile in uno dei giganti di Monti Prama (il pugilatore munito di scudo) ed in alcuni bronzetti. Differiscono, però, per un tipo di armature differenti (spesso assenti in alcuni shardana), scudi rotondi come quelli nuragici ma con decorazioni assenti o differenti da quelle visibili in quelli in dotazione di bronzetti e statue di Monti Prama, mancanza di schinieri, delle spade con una lama di forma differente da quelle rinvenute finora o presenti nei bronzetti nuragici (se state pensando alle spade di Sant'Iroxi allora sappiate che risalgono prima dell'età nuragica e che non sono state rinvenute in Sardegna spade di questo tipo per i periodi successivi); da notare infine che i guerrieri shardana rappresentati nelle iconografie egizie non dispongono di arco mentre nei nostri bronzetti gli arcieri sono raffigurati in buon numero. Potrei anche far notare una diversa disposizione delle corna negli elmi shardana rispetto ai bronzetti nuragici (laterali nei primi e frontali nei secondi) ma quella è probabile che sia una resa dovuto dallo stile di raffigurazione delle iconografie egizie.

4) Le stesse spade del tipo di Sant'Iroxi non sono presenti solo in Sardegna ma anche nei siti della cultura di El Argar (2300-1500 a.C.), nel sud-est della Spagna.

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Lame di spade di tipo El Aragar (sopra) e Sant'Iroxi (sotto).

5) Gli shardana non sono gli unici ad essere muniti di elmi cornuti: altre popolazioni dell'età del Bronzo li portavano. Esempi? Un guerriero ittita raffigurati in un vaso con spada a lama triangolare ed elmo cornuto; elmi in bronzo del XII sec. a.C. rinvenuti in Danimarca; una fila di guerrieri con elmo cornuto viene raffigurata in un vaso miceneo del XIII sec. a.C. .


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Raffigurazione di guerrieri micenei in un vaso miceneo del 1200 a.C. rinvenuto a Micene, Grecia (sopra); negativo di una raffigurazione di guerriero ittita in un frammento ceramico rinvenuto a Boğazköy, Turchia (in basso a destra); elmi di bronzo rinvenuti a Vikso, Danimarca (in basso a sinistra).

6) Dei loro "colleghi" tra i popoli del mare, i pheleset/filistei faranno capolino in Sardegna e lasceranno delle loro tracce: un frammento di vaso-sarcofago con volto umano rinvenuto a Neapolis ed un vaso con iscrizione filistea rinvenuto a S'Arcu 'e Is Forros. Va notato che i filistei sono gli unici tra i popoli del mare nominati dagli egizi a lasciare degli insediamenti ed una cultura materiale nel Vicino Oriente. Ah, dimenticavo: la testa di un guerriero filisteo è raffigurata in un bronzetto nuragico rinvenuto a Decimoputzu (Sud Sardegna).

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A sinistra, bronzetto raffigurante un pheleset/filisteo; a destra, raffigurazione di guerrieri pheleset/filistei nel tempio di Medinet Habu.


Analizzati questi punti certi iniziamo a dire qual'è il punto più controverso della questione shardana. 


Il rapporto tra la Sardegna e l'Egitto nell'età del Bronzo. I nuragici avevano una buona rete commerciale che andava la penisola iberica, il nord Africa, l'Anatolia, Creta e Cipro, le ultime due avevano stretti rapporti commerciali con il Regno d'Egitto per cui nulla di strano che i mercanti sardi e quelli egizi avessero fatto affari all'interno di quelle stesse isole, dunque non si esclude che gli uni sapessero degli altri ed in quali terre si trovassero; il punto è che nel Regno d'Egitto non ci è arrivato nessun manufatto nuragico che attesti la presenza di mercanti sardi sul regno ed in Sardegna non abbiamo nessun reperto egizio che risalga all'età del Bronzo (quelli che trovate in Sardegna sono dell'età del Ferro e del periodo punico), è quindi da escludere a priori che avessero rapporti? Non proprio visto che condividevano gli stessi partner commerciali nel mediterraneo Orientale (micenei, cretesi e ciprioti), il punto è che Sardegna ed Egitto non sono proprio vicini ed al tempo non esistevano le crociere della MSC, dunque per entrare in contatto, come ho scritto prima, sarebbe stato più agevole per entrambi incontrarsi in punti intermedi come Creta e Cipro; non escludo quindi che degli scavi possano portare alla luce reperti egizi nella Sardegna dell'età del Bronzo e viceversa ma, come detto prima, niente reperti = niente prove.  È l'archeologia baby e si basa sui dati che hai in mano, non su quelli che non hai.

Posso dunque dire, in conclusione, che gli shardana sono esistiti visto che ne parlano determinate fonti; purtroppo, però, non sono per nulla certo che loro stessi fossero i nuragici in quanto non ho dati certi. Tali dati potrebbero essere la scritta in fenicio SHRDN nella stele di Nora ma bisogna tenere conto che non si può mettere la lingua fenicia con quella egizia in quanto diverse così come bisogna stare attenti a metterla con l'accadico in quanto sono si delle lingue semitiche, quindi imparentate, ma comunque diverse e che quindi potrebbero dare nomi diversi a gli oggetti/persone/concetti.

A questo uno dirà: perché invece tiri fuori queste storie contro gli shardana ma sei sicuro dell'esistenza dei fenici che, come i primi, venivano chiamati così dalle altre popolazioni? Per il semplice motivo che A) le fonti scritte indicano qual è l'ubicazione e la provenienza delle genti fenicie, la definizione di "isole in mezzo al Grande Verde", data per la provenienza degli shardana, è di per sé troppo fumosa; B) i fenici, diversamente dagli shardana, hanno lasciato numerose tracce materiali ovunque passavano.

Se almeno ci fosse arrivata una qualche forma di scrittura nella sardegna nuragica che rivelasse cose come "Noi, Shardana dal cuore ribelle, siamo penetrati in Egitto" o "Il Faraone assaggerà la furia del nostro bronzo" oppure "Siamo andati nel regno delle grandi piramidi e abbiamo sconfitto e sottomesso il suo popolo" o meglio ancora "Hotel residence di lusso 5 pintadere "IL MONTONE" a Sharm-el-Sheik, 7 giorni a sole 25 asce di bronzo, tutto compreso" ed infine "Faraone infame, per te solo letame", la questione si sarebbe facilmente risolta. Purtroppo, siamo ancora qui a parlarne e, per come la vedo io, ne avremo per molto, molto molto, molto tempo.

E voi come la vedete? Se siete in disaccordo con quanto scritto, commentate pure ma sempre nel rispetto per chi ha scritto questo articolo, visto che molti, come ho potuto notare nel corso degli anni, fanno degli shardana una questione parecchio, troppo, personale. Soprattutto quando li si vuole identificare coi nuragici. Detto questo, ricordate la regola aurea del rispetto 😁😁😁

Ci si vede ;)

mercoledì 7 marzo 2018

Le parti postume in monumenti antichi: cosa ne penso.

Risultati immagini per Nuraghe Diana

Quando andiamo a visitare un monumento antico può capitare di notare qualcosa che ci salta all'occhio, qualcosa che cattura la nostra attenzione come un moscone grasso che svolazza ronzando malamente nel nostro soggiorno lindo e pinto: una parte postuma, ovvero una parte di quel monumento che è stata aggiunta secoli, se non millenni, dopo alla sua creazione. Come la torretta militare della Seconda Guerra Mondiale sopra il nuraghe Diana, quello che vedete come immagine dell'articolo, a Quartu Sant'Elena.

L'idea per questo articolo mi è venuta in mente leggendo una notizia riguardante il restauro di Torre Falcone a Stintino (SS), giuntami rovistando per caso tra gli archivi online dei quotidiani e raccontata nel dettaglio in un blog.
(http://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2017/04/01/news/restauro-piu-vicino-per-la-torre-1.15128839, http://www.laprovinciadelsulcisiglesiente.com/wordpress/2018/02/sono-iniziati-nei-giorni-scorsi-a-stintino-i-lavori-per-la-realizzazione-del-secondo-lotto-della-piazza-cala-doliva/).

Per chi non lo sapesse, Torre Falcone è una torre d'avvistamento spagnola costruita nel XVI sec. d.C. con lo scopo di avvistare le navi dei corsari barbareschi che, in quel periodo, erano il terrore di tutto il Mediterraneo ed erano un pericolo costante per le spiagge della Sardegna, tanto che si dice che il pirata Barbarossa riuscì ad attraccare per un certo periodo nell'Isola dell'Asinara. Dopo l'abbandono, la torre fu restaurata in alcuni punti e riutilizzata durante la Seconda Guerra Mondiale per avvistare un'eventuale arrivo delle imbarcazioni Alleate che si credeva fossero pronte ad attraccare in Sardegna per cominciare ad invadere l'Italia (previsione errata in quanto iniziarono l'attacco dalla Sicilia); una testimonianza del riutilizzo in quel periodo è la scala che porta direttamente al piano superiore.

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Torre Falcone, Stintino, la scala che vedete è della Seconda Guerra Mondiale, altri segni sono le tracce di cemento.

Io, che ci sono stato, posso testimoniare quanto sia messa male: è stata costruita con materiali scalcini e sensibili all'erosione come i mattoni in scisto, la pietra maggiormente disponibile nella zona di Stintino, e la sua esposizione ai forti venti che caratterizzano la penisola stintinese non la aiuta di certo a rimanere in piedi; la scala stessa (che, ricordiamolo, risale alla Seconda Guerra Mondiale) è in uno stato davvero precario ed il resto della struttura non è certo messo meglio.
Pertanto un restauro che preveda anche la sua sostituzione con una idonea alle normative va più che bene visto il pessimo stato in cui si trova.

Pensando a questo mi sono detto "e se togliessero pure la torretta dal nuraghe Diana? Perché non levare dalle scatole pure il cumulo di pietre di epoca romana che sta sopra l'altare del nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca?". All'inizio stavo pensando pure di farci un'articolo per sollecitare la loro rimozione ed avevo tutte le intenzioni di farlo fino a ieri notte. Ma siccome la notte porta consiglio mi sono risvegliato la mattina dopo, capendo che bisognerebbe pensarci molto bene prima di fare un operazione simile. Perché? Ve lo spiego.

Risultati immagini per altare di villanovafranca
L'altare nuragico del Nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca, Sud Sardegna. Per quanto piacevoli quanto un dito conficcato in un occhio, quelle pietre non andrebbero tolte.

Intendiamoci, sono perfettamente d'accordo con voi col giudicare queste parti aggiunte pari a uno sputo su un piatto di spaghetti al sugo ed ancor più d'accordo col dire che sarebbe stato meglio se non ci fossero mai state.
Il punto è che la loro parte postuma non è fine a se stessa ma è funzionale all'utilizzo di quel monumento, che sia per la sua funzione originaria (altare di Su Mulinu) o per una diversa (torretta sopra il nuraghe Diana) la questione non conta, così come non conta il periodo in cui sono state fatte; pertanto tali aggiunte devono essere considerate parte integrante della storia di quel monumento. Non è bello da dire ma è così.

Il valore culturale di un sito, di un monumento o di un edificio antico non è dato solo dall'aspetto estetico o dal modo in cui è stato fatto ma anche dalla funzione che ha avuto e dalla storia che lo ha percorso; questo discorso va esteso per ogni singolo elemento che lo compone, pietre e mattoni compresi. Di casi simili ne abbiamo a palate in Sardegna. Esempi? Le domus de janas di Sant'Andrea Priu riconvertite come tombe cristiane, una tomba vandalica(!) ricavata da una porzione del nuraghe Su Mulinu (lo stesso del monumento sopracitato), le tombe cinerarie romane in basalto presenti nel sito del nuraghe Sanilo di Aidomaggiore (OR) e altri ancora.

Quindi vanno lasciati così come sono? A livello generale, si.
A meno che... non si verifichino condizioni tali per cui quelle parti andrebbero rimosse; ovvero:
  1. Quando questi pregiudicano in modo considerevole lo stato di conservazione del bene o quando essi stessi si trovano in uno stato pericolante, come nel caso della scala di Torre Falcone.
  2. Quando si tratta di componenti di un sito archeologico in fase di scavo che coprono una parte ancora più importante, ad esempio una capanna di epoca medievale posta sopra un nuraghe; in tal caso si fa un bel rilievo (un disegno tecnico delle strutture archeologiche che si fa soprattutto in scavi di emergenza), si raccolgono i reperti presenti nelle stratigrafie, li si registra e si procede con lo scavo archeologico.
  3. Quando si tratta di parti funzionali a se stesse o delle ricostruzioni fasulle che falsificano il contesto e l'ambiente in cui si trovano, come le due colonne a Tharros (so che qualcuno non sarà assolutamente d'accordo con me, belle quanto volete ma io ne farei davvero a meno dato che sono dei falsi che non ci appiccicano una fava)

Voglio comunque ricordare un esempio veramente molto brillante per superare il problema riguardante l'altare di Su Mulinu: non potendo comunque distruggere quell'obbrobrio fatto in periodo romano, hanno ben pensato di fare una bellissima replica in cui venissero riprodotte soltanto la parte nuragica e l'ambiente in cui si trova l'originale, tale riproduzione si trova al museo archeologico di Villanovafranca.


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Le due colonne di Tharros, due falsi non da poco.


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La riproduzione dell'altare nuragico del nuraghe Su Mulinu, attualmente presente al museo di Villanovafranca.

E voi che cosa ne pensate? Qual'è la vostra idea al riguardo? Se sete in disaccordo non fatevi problemi, scrivete pure :)

Al prossimo articolo ;)

lunedì 5 marzo 2018

La Sardegna nell'età del ferro: nuragica o post-nuragica?

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L'età del Ferro (IX-VI sec. a.C.) rappresenta un punto di svolta per la civiltà dato che si consolidano delle novità e dei cambiamenti già avvenuti nel Bronzo Finale (XIII-IX sec. a.C): la comparsa dei bronzetti, dei primi oggetti in ferro, delle capanne delle riunioni, delle sepolture singole e della fine della costruzione dei nuraghi e delle tombe dei giganti.
Questi ultimi due fattori sono i più importanti perché hanno fatto nascere un dibattito tra archeologi lungi dall'essere concluso: quello sulla continuazione dell'epoca nuragica o della sua fine e dell'inizio del periodo post-nuragico.

Come si potrebbe parlare di nuragico quando la costruzione più caratteristica di tale epoca, il nuraghe, non viene più costruita? Per non parlare poi delle tombe dei giganti. Però gli antichi sardi continuano ad usare la maggior parte dei nuraghi rimanenti, tanto che molti finiscono per riprodurli in modellini di varie dimensioni, dai 5 centimetri fino al metro e mezzo circa. Quindi l'epoca rimane sempre quella nuragica? La questione, come spero di avervi fatto capire in queste righe, è parecchio spinosa perché presenta elementi validi da tutte le parti. Analizziamola insieme.

Argomenti per la fine del nuragico.

Come detto prima, non vengono più costruiti nuraghi e tombe dei giganti; queste ultime in particolare non vengono nemmeno più usate e finiscono per essere sostituite da delle sepolture singole. Questo rappresenta un importante cambiamento in quanto si passa da una sepoltura certamente più aperta e collettiva ad una sola e riservata ad un unico elemento distinto tra gli altri, dunque un cambiamento sia strutturale che culturale nell'ottica delle sepolture.

Per quanto riguarda la fine della costruzione dei nuraghi, va detto che alcuni vengono abbandonati mentre altri vengono ancora abitati ed utilizzati; tuttavia, essi sembrano avere un ruolo leggermente più marginale vista la creazione di nuove strutture come le capanne delle riunioni, grandi capanne circolari con banconi-sedili, usate in tutta probabilità per le riunioni tra i personaggi importanti dei vari villaggi.

Vanno infine fatte notare tutte quelle novità, introdotte nell'età del Bronzo finale, riguardanti le strutture, come la comparsa dei tempi a megaron, dei pozzi sacri (già comparsi, in realtà, nel Bronzo recente) ed abitazioni a più camere al posto delle capanne circolari monocamera, e la cultura materiale (bronzetti, nuove forme vascolari con nuove decorazioni).

Argomenti per la continuazione del nuragico.

Come scritto prima, nonostante non vengano più costruiti ed abbiano perso parte della loro centralità, i nuraghi sono ancora in larga parte utilizzati e rivestono ancora una certa importanza. In molti vedono un cambio di funzione di queste strutture da edifici civili a templi, visto il rinvenimento di molti oggetti attribuiti a rituali religiosi, come le cosiddette lucerne votive, all'interno di alcuni ambienti dei nuraghi, ma personalmente non sono d'accordo visto che era possibile che solo le parti dei nuraghi in cui ritrovarono le lucerne fossero adibite a pratiche religiose. Una testimonianza dell'importanza che rivestivano ancora i nuraghi ci è data dai numerosi rinvenimenti di modellini di nuraghe rinvenuti in più siti dell'età del Ferro, compresa la necropoli di Monti Prama.
Uno a questo punto può dire che pure in periodo punico e romano i nuraghi venivano utilizzati, il punto è che in quei periodi i nuraghi non rivestivano più nessuna importanza politica all'interno di una Sardegna che si trovava in un contesto diverso.

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Modelli di nuraghi complessi provenienti dal sito di Monti Prama, presenti al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.

Cosa ne penso.

La questione, come detto prima, è piuttosto spinosa visto che gli argomenti portati sono comunque discutibili e che nessuno ha il dono della necromanzia per poter resuscitare i cadaveri trovati nelle tombe dell'età del Ferro. Si può discutere sul fatto che quei modellini non fossero una testimonianza dell'importanza che avessero avuto in età del Ferro ma bensì un ricordo della magnificenza dell'età del Bronzo (vedasi i vari riferimenti all'impero romano, che veniva visto come un'età dell'oro, nel medioevo); si può discutere che tutti questi cambiamenti riguardanti le strutture, la cultura materiale e funeraria fossero in realtà un'evoluzione delle stesse comunità che hanno edificato i nuraghi.

Per come io la vedo, nonostante i cambiamenti ed evoluzioni che si sono verificati, penso che si possa ancora parlare di periodo nuragico in quanto i nuraghi, nonostante non vengano più costruiti ed altri vengono abbandonati, nonostante la presenza di una nuova ed importante struttura come la capanna delle riunioni, sembrano ancora conservare la loro funzione di rappresentare il potere dei vari capi villaggio sardi.

E voi come la pensate? Se dissentite da quanto penso io, non fatevi problemi a commentare, il blog è fatto anche per questo ;)

Ci si sente!

giovedì 1 marzo 2018

La riscoperta dei rinvenimenti a San Sperate nel 1975: cosa ne penso.


Innanzitutto faccio i miei complimenti ad Alberto Mossa (l'archeologo in questione) per aver riscoperto dei pezzi rinvenuti nel 1975 a San Sperate che sono simili a quelli rinvenuti nella necropoli di Monti Prama a Cabras e che rimanevano tutt'ora ignoti anche agli archeologi; la sua riscoperta ha aperto un nuovo quadro in merito non solo ai giganti di Monti Prama ma anche a tutta quanta la cultura nuragica (un pezzo simile, una testa, era già stato rinvenuto nel pozzo sacro di Banatou, in Narbolia). Quindi ancora tantissimi complimenti ed un grande in bocca al lupo ad Alberto Mossa!

Fatti i dovuti auguri e congratulazioni, la prima cosa che noto sulla pagina dell'Unione Sarda in questione è che A) l'attenzione viene concentrata unicamente sul corno di pietra ma non viene fatta la minima menzione sui due bellissimi modellini di nuraghe rinvenuti sempre a San Sperate; B) viene riportato che Alberto Mossa dica con CERTEZZA ASSOLUTA che si tratta di un gigante, quando nell'intervista vera e propria le sue testuali parole sono: 

"In archeologia è opportuno avere un atteggiamento di massima prudenza, ma certamente la scoperta di questi frammenti permette di affacciare L'IPOTESI che la statuaria di Monte Prama non sia un unicum" (fonte: https://sardegna.adessonews.eu/2018/03/01/straordinaria-scoperta-archeologica-una-statua-simile-ai-giganti-di-monte-prama-anche-a-san-sperate/).

Senz'altro meglio del completo silenzio ma si chiederebbe comunque la cortesia all'Unione di riportare le cose come stanno ed in tutta la loro completezza, non di farci una roba acchiappa-views per vendere articoli.

Un'altra cosa che mi chiedo è: ma quanti altri reperti esistono nei magazzini della soprintendenza? E quanti di questi rivestono un'importanza gigantesca come quella dei reperti di cui stiamo parlando? È il caso dunque di aspettarsi di trovare persino una testa umana identica a quelle dei giganti di Monti Prama?
Non voglio fare delle polemiche sterili che diano spazio a tanta bella gente che grida al gombloddoh(!!11!1!) delle malvagie soprintendenze ed università sarde che vogliono tenerci nascosta la grandezza degli shardana che conquistarono tutto il mondo, soprattutto dopo una (ri)scoperta di tale portata che non può che far piacere, ma va detto che NON È NORMALE CHE DEI REPERTI SIMILI SIANO RIMASTI AL CHIUSO IN UN MAGAZZINO PER BEN 43 ANNI DALLA LORO SCOPERTA. È quindi tutta colpa dei soprintendenti? No visto che non è assolutamente facile gestire un patrimonio archeologico così vasto come quello sardo; si potrebbe pure pensare di aprire nuovi musei, sarebbe una soluzione buona, il punto è che la burocrazia che ci ritroviamo rende le cose MOLTO complicate. Cosa fare dunque? 

Si potrebbero organizzare delle esposizioni temporanee dei reperti presenti nei magazzini che potrebbero essere dislocate in più comuni; oppure si potrebbe organizzare delle esposizioni a rotazione (un mese dei reperti e un altro dei altri reperti) all'interno dei musei per fare in modo da non avere sempre i magazzini ingolfati di reperti. Ma qui si parla di dinamiche, quelle museali, che io non conosco e pertanto non so quanto possano valere i miei consigli.

Parlando dell'articolo di Alberto Mossa, sono completamente d'accordo con quanto dice perché, se è vero che andrebbero trovate altre tracce per avere conferme schiaccianti sulla presenza dei giganti anche a San Sperate, è altrettanto vero che i rinvenimenti ci danno la possibile esistenza di una statuaria come quella di Monti Prama che va oltre la necropoli eponima.

Per chi volesse consultare l'articolo completo, eccovi il link: http://www.quaderniarcheocaor.beniculturali.it/index.php/quaderni/article/view/364/225

E voi cosa ne pensate?
Spero che l'articolo in questione, buttato quasi di getto sul momento, possa esservi piaciuto. Ci si sente ;)