lunedì 21 maggio 2018

Cosa ha ispirato la costruzione dei nuraghi e la loro evoluzione concettuale?



In un articolo precedente avevo discusso sulla possibilità dell'esistenza di una struttura più antica che possa aver ispirato la costruzione dei primi nuraghi che, ricordiamolo, non erano le torri di pietra troncoconiche che tutti o le fortezze di pietra fatte da più elementi, come Su Nuraxi di Barumini, che tutti noi conosciamo ma degli edifici di varie forme che, a livello generale, si sviluppavano più in estensione che in larghezza.
Nell'articolo (https://illeggiadromondodimartino.blogspot.it/2018/04/esiste-una-struttura-che-abbia-ispirato.html) avevo analizzato questa possibilità verificando se nella Sardegna e nelle altre parti del Mediterraneo, durante età del Rame e del Bronzo antico, esistessero costruzioni del genere che avessero fatto da "muse ispiratrici"; la risposta è stata negativa in quanto non ho riscontrato presenza di strutture simili.

Era chiaro, arrivati a questo punto, che ciò che ha creato i primi nuraghi è essenzialmente un'idea data da una precisa esigenza. Quale? In questo articolo cercherò, al meglio delle mie limitate capacità, di spiegare quali sono state le dinamiche che hanno portato alla creazione dei primi nuraghi, vale a dire i protonuraghi (o nuraghi a corridoio se preferite) e quali furono invece quelle che hanno portato ad una standardizzazione della loro forma e diversificazione delle funzioni.

Partiamo dai presupposti: nel Calcolitco (sinonimo dell'età del Rame) abbiamo visto il nascere di villaggi fortificati nel nord Sardegna in cima a colli, villaggi tipici dell cultura Monte Claro, la cui esistenza si contrappone, da un punto di vista strettamente materiale (reperti e strutture) alle culture Filigosa ed Abealzu, quindi è possibile osservare per la prima volta una divisione della popolazione all'interno della Sardegna e l'esigenza esigenza di un controllo del territorio attraverso dominio visivo delle vallate sottostanti già a partire dal IV millennio a.C. .
Nel Bronzo antico compaiono due elementi piuttosto interessanti: la tomba dei guerrieri rinvenuta a Sant'Iroxi e i primi segni di una sepoltura ancora più collettiva di quelle delle età precedenti con la creazione delle primissime tombe dei giganti (che, ricordiamolo, sono un'evoluzione concettuale dell'alleé couverte, una sorta di dolmen allungato presente in Sardegna già dall'età del Rame). Questi elementi fanno pensare ad una situazione in cui A) la collettività stava iniziando ad avere un ruolo di maggior rilievo, B) erano necessari gruppi armati per la difesa del villaggio dal quale provenivano se non del territorio che controllavano partendo da quest'ultimo.

Tomba di Sant'Iroxi ed i suoi rinvenimenti, notare la lama della daga in rame arsenicato a destra.

Arrivati a questo punto, era chiaro che servisse una struttura che potesse svolgere la funzione di controllo del territorio e che rappresentasse allo stesso tempo coloro i gruppi che svolgevano tale funzione partendo dal villaggio in cui risiedevano. Tale edificio doveva essere imponente, in modo da impressionare quelli provenienti dagli altri villaggi che lo avessero osservato, e torreggiante in modo che in cima ad esso si potesse avere un dominio visivo del paesaggio in modo da poterlo controllare meglio.
Nascono così, agli inizi del Bronzo medio, i primi protonuraghi, strutture enormi che erano sia il centro che rappresentazione del potere dei vari capivillaggio sugli insediamenti in cui sorgevano e sui territori correlati. Arrivati a questo punto, uno dirà: cosa centra la collettività se parli di sede di potere dei capivillaggio?

Una bella domanda a cui cerco di dare la migliore risposta possibile: se devi costruire delle struttura di pietra imponenti che e devi avere a che fare con una manodopera limitata agli abitanti del tuo villaggio (e non aspettatevi una cosa come Micene, Ugarit o Babilonia) ed un quantitativo di risorse non indifferenti (pietra in primis), non puoi certo permetterti di fare il "non mi tocchetti che mi caghetti" della situazione come i faraoni d'Egitto e neppure fare distinzione fra patrizi e plebei nella Roma repubblicana prima della secessione dell'Aventino o tra baroni e servi della gleba in pieno Medioevo; pertanto tu e i tuoi compari dovete collaborare.
Appare quindi verosimile, almeno dal mio punto di vista, che esistessero delle figure di maggiore importanza nei singoli villaggi ma che non fossero delle figure totalmente autarchiche come il gran re di Persia, i diadochi, i faraoni o gli imperatori romani, ma una sorta di primus inter pares come i re di Sparta od i sovrani gallici descritti nel De Bello Gallico di Giulio Cesare (so che l'espressione stessa era stata coniata per gli imperatori romani a partire da Augusto ma era puramente di facciata visto che tutti i poteri erano di fatto nelle loro mani).

Risultati immagini per nuraghe monotorre
Nuraghe monotorre Santa Sarbana, Silanus (NU).

Con il passare degli anni e dei secoli, avviene un aumento di popolazione all'interno dei singoli villaggi che causa un surplus di abitanti rendendo dunque necessaria la fondazione di altri villaggi e la costruzione di nuovi nuraghi, sia per rappresentanza che per il controllo del territorio; assistiamo inoltre a cambiamenti importanti: A) i protonuraghi di varie forme diventano i nuraghi monotorre troncoconici che tutti noi conosciamo, sviluppati più in altezza che in estensione, in modo da poter avere un dominio visivo ancora più ampio del territorio su cui venivano costruiti; B) alcuni nuraghi vengono (apparentemente) costruiti senza che ci sia necessariamente un villaggio correlato ad essi.
Appare chiaro quindi che, sempre nel Bronzo medio, venga data maggiore importanza al controllo del territorio che non alla mera raffigurazione di potere.

Questa tendenza, però, sembra riequilibrarsi con la comparsa, nel Bronzo recente, dei primi nuraghi complessi; questi ultimi, in alcuni casi, nascono come nuraghi semplici per poi vedersi aggiunte altre torri (Su Nuraxi di Brumini), in un caso abbiamo addirittura un protonuraghe che viene convertito in nuraghe complesso (Su Mulinu di Villanovafranca). La loro presenza e le loro dimensioni indicherebbero infatti la presenza di capivillaggio dotati di maggior influenza/potere rispetto a quelli che risiedevano nei nuraghi monotorre  (tenere conto che si parla sempre di quelli correlati ai villaggi) o nei polilobati (sinonimo di nuraghi complessi) di minori dimensioni; si ha quindi un ritorno ad un'esigenza sia di controllo che di ostentazione della propria forza rivolta non solo ai villaggi/nuraghi lontani ma anche a quelli vicini che avevano un rapporto di stretta collaborazione e vicinanza con i nuraghi complessi più grandi. Per far capire meglio il concetto vi faccio vedere una mappa estratta dal mio lavoro di tesi magistrale.

Sistema dei villaggi nuragici in un'area compresa tra il comune di Aidomaggiore e quello di Borore. I nuraghi Bighinzones, Porcarzos, Maso 'e Majore e Meddaris sono quadrilobati; Sanilo e Tresnuraghes trilobati; Busazzone un tancato (con due torri, una di fronte all'altra).

Nella mappa che vi ho mostrato vi sono alcuni piccoli gruppi di nuraghi con o senza villaggi nuragici che sembrano vivere un rapporto di strettissima collaborazione in quanto, come è ben visibile, sono costruiti a distanze estremamente ravvicinate; tra questi in particolare spiccano Bighinzones e Meddaris, quadrilobati i cui villaggi correlati ed i capivillaggio che li abitavano stavano verosimilmente al vertice dei raggruppamenti di nuraghi e villaggi di cui facevano parte.

Spero che il mio articolo vi sia piaciuto e che possa anche aver chiarito alcuni dei dubbi a chi si chiedeva quale fosse la funzione dei nuraghi (sembra una banalità ma ci sono persone che non sanno ancora che funzione avessero i nuraghi o che affermano, erroneamente, che fossero templi).

Al prossimo articolo ;)

Edit: mi sono accorto che la mappa dei nuraghi distribuiti in zona presentava degli errori, pertanto ho ritenuto opportuno sostituirla con una corretta, chiedo dunque scusa per aver fornito un'informazione errata.

domenica 13 maggio 2018

L'invasione e la conquista romana della Britannia spiegata da Cristiano Bettini: Oltre il fiume Oceano

Risultati immagini per oltre il fiume oceano

Prima di cominciare questo articolo, voglio rivolgere un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno visto il mio articolo, che si sono complimentati con me per come è stato scritto e per l'argomento che è stato trattato; un ringraziamento anche a chi mi ha rivolto critiche, alcune piuttosto dure ma fatte col dovuto garbo, dato che testimoniano che chi segue questo blog sono persone dotate delle più disparate opinioni.
Infine, un sentito ringraziamento al professor Paolo Francalacci per avermi concesso la possibilità di questa intervista dato che senza di essa questo blog non avrebbe avuto la visibilità che sta avendo in questo momento, visibilità che, come conseguenza, porta ampi spazi di discussione. Tutto questo, in un momento in cui sono abbastanza impegnato tra lavoro, master e ricerca di bibliografia per degli studi che devo portare per un convegno, non può che darmi nuova linfa e carica per scrivere nuovi articoli. Sperando che possano piacere ad un pubblico sempre maggiore.
Purtroppo, per i motivi sopracitati, la frequenza degli articoli sarà leggermente ridotta di questi tempi, quindi niente 9-7 articoli ogni 30 giorni come i primi due mesi di attività. Ciò detto, QUESTO BLOG DEVE VIVERE. Pur con tutti i difetti che porta. Detto questo, iniziamo!

Quando si parla di Caio Giulio Cesare le prime cose che vengono sono: Impero Romano (un po' a torto perché, sebbene la sua figura ebbe un'influenza fondamentale nella formazione di quest'ultimo, non fu certo il primo imperatore), Idi di Marzo e La guerra gallica. Parlando di quest'ultima si pensa subito ad una serie di battaglie e campagne militari svoltesi soltanto all'interno dell'attuale territorio francese (che allora si chiamava Gallia); molti, però, non sanno che Cesare decise di far sbarcare le proprie legioni anche in Britannia (attuale Gran Bretagna o Regno Unito) con un risultato sicuramente non portò ad una conquista diretta ma che senz'altro costituì una prima tegola per la conquista che avrà inizio il secolo successivo sotto l'imperatore Claudio, conquista che porterà un dominio romano sull'isola fino al 410 d.C. .
È proprio da qui che incomincia Oltre il fiume Oceano, opera di Cristiano Bettini, comandante di marina militare ed ammiraglio di lunga esperienza.

L'autore parla di tre periodi relativi alla presenza romana in Britannia: il primo riguarda le spedizioni di Cesare dove i romani mettono piede per la prima volta sul suolo della perfida Albione; il secondo riguarda la conquista sotto il principato di Claudio; il terzo riguarda la guerra Civile tra Massimiano e Costanzo Cloro e gli usurpatori Carausio e Alletto.



Moneta in bronzo raffigurante Carausio.

Nel periodo della Guerra Gallica vengono mostrati tutte le difficoltà e gli inconvenienti che Cesare dovette affrontare e le soluzioni che dovette adoperare: si parla infatti della battaglia navale contro i veneti, popolazione gallica che abitava l'odierna Bretagna (ed omonimi degli attuali abitanti del veneto senza, però, esserne gli antenati), dotata di una propria marineria e con navi perfettamente adatte alle mareggiate oceaniche (si ricorda che, essendo molto più grande, l'Oceano Atlantico ha delle correnti marine generalmente più forti e burrascose rispetto a quelle del Mediterraneo) e che misero alle strette la flotta del nostro caro Giulio che dovette ricorrere ad un espediente per poterle abbordare e sconfiggere così la flotta veneta; si parla poi della spedizione in Britannia e delle trappole ed imboscate tese dalle popolazioni locali che, verosimilmente grazie a degli informatori in Gallia, sapevano già di un loro arrivo e come le legioni riuscirono a respingere gli aggressori autoctoni salvo poi ritirarsi e rifare una seconda incursione in cui riuscì a creare alcuni piccoli regni-clienti per conto della Repubblica (non era ancora Impero Romano). 

Viene data una ricostruzione molto interessante dei venti e delle correnti marine che Cesare dovette affrontare durante lo sbarco, delle tecniche di costruzione che venivano usate dai veneti per costruire le loro navi e dai materiali usati, l'organizzazione delle spedizioni nel suolo britannico, da quale costa della Gallia erano partiti, in quale punto dell'isola erano verosimilmente sbarcati lui e le sue legioni e che cosa era andato tanto storto da dover rendersi necessaria una seconda spedizione.

Nella vera e propria conquista della Britannia viene spiegato il punto da dove avevano attraccato le legioni e perché proprio da lì, quali fossero le tribù britanniche alleate di Roma e quali invece quelle nemiche, che tipo di navi dovevano essere quelle che componevano la Classis Britannica (la flotta che fu creata per sbarcare nell'isola e che fu successivamente usata per difenderla).

Si arriva infine al periodo della rivolta di Carausio, che si autoproclamò imperatore di Britannia e del nord della Gallia; qui si spiega il tipo di propaganda politica attuata dall'usurpatore e dalle strategie che ha attuato per vincere le sue prime battaglie contro Massimiano e quali furono invece le strategie che usò Costanzo Cloro per sconfiggere lui e Alletto (altro usurpatore che aveva assassinato Carausio) e riconquistare la Britannia.


Medaglione di Costanzo Cloro che libera la Britannia da Alletto.

Trattati questi tre avvenimenti, l'autore approfondisce il tema della nautica e della carpenteria; spiega le tecniche di costruzioni delle navi dei romani, da chi verosimilmente avevano appreso le tecniche, il grado di contaminazione con la carpenteria celtica (galli e britanni sono infatti celti) per l'attraversamento dell'Oceano Atlantico e l'affrontare i suoi flutti e mareggiate, in quali periodi verosimilmente iniziavano le operazioni marittime, nozioni sui principi di stabilità degli scavi in mare durante i marosi e quali dovevano essere state gli accorgimenti usati dai carpentieri e dagli ammiragli per resistere meglio all'oceano, quali alberi furono tagliati per la costruzione delle imbarcazioni, come venivano posizionate sulle navi le varie macchine di assedio (baliste, scorpioni, onagri etc.) e che tipo di proiettili usavano per rendere al meglio il loro utilizzo nelle battaglie navali.


Ho trovato davvero interessante la lettura sotto molti punti di vista perché analizza in maniera dettagliata ed il più possibile neutrale i singoli avvenimenti durante le campagne militari dei tre periodi storici sopracitati, le tattiche usate, le politiche adoperate e le modalità d'uso della logistica per ottenere le vittoria da parte dei romani; fornisce inoltre una ricostruzione minuziosa su come i romani estraevano il legno per le loro navi e come queste venivano costruite, le modalità con cui affrontavano le difficoltà causate da un mare molto più esteso e difficile del Mediterraneo e dall'attraversamento di un territorio poco conosciuto come la Britannia, e cosa avevano verosimilmente imparato dalle popolazioni che conoscevano meglio le acque e l'isola in questione.


In definitiva, se siete appassionati di storia romana, delle sue guerre espansionistiche, delle legioni romane e di come queste riuscivano sempre ad averla vinta contro i loro nemici fino all'inizio del III secolo d.C. allora questo è il libro che fa per voi; tuttavia vi avverto: è pieno di nozioni di nautica e di calcoli sui comportamenti delle navi sulle acque marine che chi non è avvezzo ad assimilare la fisica (come il sottoscritto, mea culpa) potrebbe trovare un tantinello pesanti, ma non è un difetto vero e proprio dato che è parte integrante di un opera che parla proprio di sbarchi e navigazione.

Per il resto, davvero consigliato.

Spero che questo articolo/recensione vi sia piaciuto o possa avervi invogliato ad acquistare il libro, se avete delle perplessità o avete già letto il libro e volete far sapere il vostro parere al riguardo, non fatevi problemi, commentate.


Al prossimo articolo ;)

giovedì 3 maggio 2018

Il DNA europeo e quello sardo: Intervista a professor Paolo Francalacci

Risultati immagini per paolo francalacci

Prima di tutto chiedo scusa a quei pochi (o molti) che seguono questo blog per la mia inattività su questa piattaforma da almeno 10 giorni in quanto preso da studi per un meeting a Barcellona ed un lavoretto stagionale che mi serve per portare a casa qualche soldino; ammetto che in mezzo c'è stato pure del cazzeggio ma da quest'ultimo c'è pure una lettura che conto di portare quanto prima su questo blog (se non sono troppo bradipo, alquanto cronica nel mio caso).

Detto questo cominciamo a dire chi è professor Francalacci: professore associato all'Università di Sassari, presenzia al reparto di Scienze Biomediche, e genetista di fama internazionale (anadate su https://uniss.academia.edu/PaoloFrancalacci per capire un pezzo della mole del suo lavoro), tanto da esser comparso in una puntata di Discovery channel in merito alle migrazioni dei popoli delle steppe dell'Europa dell'est fino alla Cina e di aver scritto un articolo per National Geographic sul DNA sardo (http://www.nationalgeographic.it/scienza/2013/08/02/news/le_origini_dell_uomo_europeo_e_non_solo_scritte_nel_dna_dei_sardi-1766551/). L'intervista verterà proprio sulla genetica europea e sarda.

Ho incontrato professor Francalacci per puro caso al Museo della Tonnara di Stintino (https://illeggiadromondodimartino.blogspot.it/2018/04/museo-della-tonnara-di-stintino.html) in un convegno sulla genetica e la cultura musicale europea, da li ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con lui in merito alla genetica sarda e da dove avesse origine; da qui la richiesta di poterlo intervistare per conto di questo blog. Richiesta accettata immediatamente e svoltasi nei giorni a seguire.
Detto questo, passiamo subito all'intervista.

Io: professor Francalacci, se non ricordo male la storia dell'Europa incomincia già con le prime migrazioni dal continente africano, quella dell' Homo erectus e poi dell'Homo sapiens...
F: certo, ma sono due migrazioni diverse, la prima è quella dell'Homo erectus che giungerà in Europa 800.000 anni fa e che darà origine all'Homo neanderthalensis (uomo di neanderthal), la seconda, 80-70.000 anni fa, è quella dell'Homo sapiens che darà origine a noi; ora va per la maggiore la teoria che ci sia stata ibridazione tra Homo neanderthalensis sapiens, io sono un pochettino più scettico visto che non si vedono tracce di ibridazione grazie al cromosoma Y e mitocondriale ma è possibile che quelle linee si siano estinte.
Io: mh, ho capito.
F: è possibile inoltre che le migrazioni del sapiens in Europa non vengano solo dall'Africa ma anche dall'Asia occidentale ed in parte anche dalla Siberia, ci sono infatti delle linee che ci accomunano con gli indiani d'america.
Io: ah! Sapevo di una somiglianza somatica e genetica tra nativi americani e popolazioni native della Siberia e dell'Asia ma non pensavo ad una benché minima somiglianza con noi europei. 
F: certamente! Abbiamo una migrazione di queste popolazioni da nord-est nel continente europeo; questo porta ad avere alcune linee Y e mitocondriali delle popolazioni europee imparentate con i nativi siberiani e le prime popolazioni delle americhe che migrarono dalla Siberia 15.000 anni fa. Abbiamo quindi più flussi ed in periodi diversi.

Io: mmm.. perfetto. Da dove nasce l'esigenza di una mappatura genetica delle popolazioni europee?
F: ci possono essere tanti scopi: medico-legale, riconoscimento, applicazioni mediche per alcune patologie del DNA mitocondriale riconosciute in alcuni aplogruppi che noi abbiamo identificato per scopi puramente popolazionistici.
Io: e dal punto di vista culturale?
F: in un momento in cui si torna a parlare di razze, è importante capire come funziona la variabilità genetica perché noi non siamo un'entità isolata ma un mosaico di tante storie e popolazioni; uno che potremmo definire di “razza” bianca potrebbe benissimo avere delle varianti genetiche dell'Africa o del Giappone, quindi porterebbe dentro di se la storia di tantissime popolazioni. Per risalire a quelle lontane parentele, studiando il cromosoma Y potrei scoprire, tanto per fare un esempio, una variante scandinava di 1000 anni fa e quindi avere avuto un lontano parente di quelle zone; questo, però, non significherebbe certo che allora io sono un vichingo, io sono italiano prima di tutto ed identificarsi in quel cromosoma, che è una piccola parte del mio genoma, non avrebbe molto senso, però racconterebbe una storia, cioè che un mio parente sarebbe venuto qui e avrebbe sposato una donna del posto, come poi tutti i suoi discendenti.
Io: ecco, parlando di parentele antiche ed antichi genomi, si può dire quel'è l'antenato più vicino di tutte le popolazioni europee? Che so... spagnoli, francesi, tedeschi, inglesi, portoghesi, italiani, greci...
F: non si può parlare di un unico antenato ma di un numero relativamente piccolo di antenati; va tenuto conto infatti che in europa non entra un unico gruppo ma più ondate migratorie avvenute in periodi differenti nel Paleolitico superiore (40-18.000 anni fa), nel Mesolitico o nel Neolitico.
Io: le più antiche?
F: non prima di 40.000 anni. Il punto è che le più antiche parentele in assoluto, che accomunano tutte le ondate migratorie, vengono da fuori Europa, dall'Asia occidentale fino all'Africa. Da quelle zone, in diversi periodi, arrivano le ondate migratorie che hanno creato le popolazioni europee. Oetzi ad esempio, che si è scoperto che avesse una parentela coi sardi, portava con se una linea genetica, un aplotipo, proveniente dal Caucaso. Come mai è finito nel Tirolo? Probabilmente faceva parte di una popolazione facente parte di una popolazione neolitica proveniente da quella zona che aveva seguito la linea danubiana di terra ed'era scesa giù dal Brennero; intanto lui è morto lì e la sua discendenza è giunta fino in Sardegna ed in Italia centrale, recentissimamente è stata ritrovato parte del suo gruppo genetico a Volterra.
Io: quindi la questione è che Oetzi non è discendente dei sardi ma siamo noi che, in parte, discendiamo dai suoi antenati, giusto?
F: Esattamente è il fatto che, come le ho già detto, parte del suo gruppo genetico sia stato ritrovato a Volterra che è una tappa del viaggio del suo aplotipo fino alla Sardegna.

Io: molto bene, parlando di genomi, aplotipi e popolazioni che si sono susseguite in Europa nel corso del tempo, qual'è la popolazione europea che è stata più refrattaria al rimescolamento genetico nel corso del tempo? Intendo dire quella che ha mantenuto il proprio patrimonio genetico il più fedele possibile ai suoi più antichi antenati.
F: intanto ci sono due motivi per cui una popolazione si mantenga isolata da questo punto di vista, A) motivo culturale, B) motivo geografico. Culturalmente i più isolati sono i Baschi anche se geograficamente non sono poi così isolati; geograficamente parlando invece abbiamo la Sardegna come regione più isolata dall'Europa, molto più della Corsica che rientra, a livello genetico, nell'ambito dell'Italia centrale. Perché questo? Inizialmente la Corsica doveva avere una struttura genetica simile a quella della Sardegna, conta che le popolazioni che abitarono quest'ultima dovevano essere passate necessariamente dalla prima in quanto durante il periodo glaciale le due isole erano unite; poi però succedono, nel corso del tempo, una serie di avvenimenti, pestilenze, guerre, invasioni e ripopolamenti che hanno ridotto l'elemento autoctone nelle due isole; la differenza sta nel fatto che i sardi, essendo più numerosi e risiedendo in un isola più isolata, grande e facilmente abitabile, riuscirono pur sempre a mantenersi sopra i livelli di guardia e quindi conservarono meglio il loro patrimonio genetico originario; i corsi invece, per i motivi contrari a quelli riportati sopra, vengono decimati e successivamente rimescolati alle popolazioni ligure e toscane che si susseguono sulla loro isola nel tempo, un esempio ne è nella loro lingua.
Io: ed il loro patrimonio genetico da dove proviene? Mi spiego: con chi erano imparentati, per la maggiore, i sardi preistorici? 
F: coi baschi. Le prime popolazioni provenivano dalla medesima aree in cui risiedono tutt'ora le popolazioni basche, tenendo  conto che non esisteva il concetto di basco, e si insediarono in Sardegna a partire dal Mesolitico; nel Neolitico abbiamo l'esplosione di queste popolazioni, vale a dire che le stesse che erano giunte millenni fa iniziano a riprodursi e ad espandersi all'interno dell'isola popolandola quindi in vari punti. Vi sono inoltre parentele coi baschi anche dal punto di vista linguistico: un mio amico scomparso anni fa, Eduardo Blasco-Ferrer, ed uno studioso dei Paesi Baschi, Juan Martin Elexpuru Arregi hanno fatto degli studi in cui sono presenti delle similitudini tra i toponimi di molti comuni sardi e baschi, ti faccio dare una occhiata in questa cartina.

(da qui si prende visione di una mappa della zona dei Paesi Baschi in cui sono presenti tutti i nomi dei comuni presenti al suo interno e della similitudini di questi con i toponimi dei paesi nostrani).

sardi-baschi-origine-comune
Una delle TANTE similitudini tra i toponimi baschi e quelli sardi.

Io: davvero molto interessante. Da quello che ho capito, se noi discendiamo dai baschi...
F: attenzione! Anche qui bisogna ricordarci che si tratta di una componente, ogni popolo ha le sue componenti: non esiste il sardo originario ma esiste una parta più antica e predominante che giunge nel Mesolitico dall'area iberica; poi però ci sono i flussi del Neolitico, come quello di Oetzi dal Caucaso. I sardi sono quindi anch'essi il risultato di diversi flussi migratori.
Io: ho capito; è possibile ricostruire la provenienza di questi flussi?
F: si, analizzando il loro corredo genetico. Prendiamo il marcatore M26, quello basco, facente parte dell'aplogruppo I: è presente in media nel 40% della popolazione sarda, 45% nella polazione ogliastrina, un po' meno in quella gallurese, circa il 30%; al di fuori della Sardegna è più presente nei Paesi Baschi.
Io: aspetti un secondo, non ho chiara una cosa: cosa sono marcatori ed aplogruppi?
F: il marcatore è una mutazione genetica all’interno del cromosoma, l'aplogruppo è la famiglia che riunisce i vari corredi genetici dotati di un marcatore in comune.
Io: perfetto! Però mi sorge un dubbio, come si fa a stabilire l'antichità di un genoma?
F: la risposta è nella stessa struttura del DNA. Mi spiego: ognuno di questi ha tutta una serie di ramificazioni in cui si trovano i marcatori genetici, ogni ramificazione rappresenta una linea cronologica. Se io ho due ramificazioni che derivano da un unico antenato, identificato da un certo marcatore in comune, mi basta contare quanti marcatori derivati osservo nelle due linee e, se conosco il tasso di mutazione (ovvero il tempo medio in anni in cui insorgono nuovi marcatori), posso moltiplicare per questo fattore e risalire all’età in cui è vissuto l’antenato comune.
Io: quindi le ramificazioni stesse presenti nei genomi, a seconda della loro posizione, indicano l'antichità dei loro marcatori, giusto?
F: esatto!
Io: molto bene, ora passiamo a questi flussi migratori che hanno interessato la Sardegna: uno è quello basco e un altro è quello caucasico, e gli altri flussi da dove arrivano?
F: beh, quella proveniente dal Medio Oriente, zona della mezzaluna fertile, sempre in periodo Neolitico, riveste circa il 30% del corredo genetico paleosardo, i loro aplogruppi principali sono J e E.
Io: bene, e quella caucasica che percentuale riveste?
F: circa il 10%, aplogruppo G. Altre due componenti importanti sono R1a, che forse viene dall'Europa orientale e che probabilmente ha portato nel nostro continente le lingue indoeuropee, e  R1b, Europa occidentale.
Io: molto bene, abbiamo quindi un quadro completo del comparto genetico sardo in epoca neolitica. E per quanto riguarda l'età del Rame?
F: in quel periodo, a livello generale, non ci sono grosse variazioni, abbiamo sempre un'espansione del corredo genetico del  Neolitico. Per capire le singole differenze rispetto a quest'ultimo periodo bisogna analizzare i sottogruppi e le loro variazioni nelle singole zone. Per la Sardegna sono stati analizzati 1200 cromosomi Y, un numero elevatissimo contando che la media di coperture da effettuare sono 100. E le analisi dei cromosomi costano parecchio anche se i prezzi ultimamente stanno calando da 5000 o meno di 1000 euro, ma si tratta comunque di un costo rilevante.
Io: eh cavolo, si! Lei in sostanza sostiene che non vi sono delle variazioni notevoli durante l'età del Rame, però mi vengono in mente delle novità come i villaggi fortificati di cultura Monte Claro che stanno in cima a delle colline, una cosa mai vista in Sardegna, .
F: certamente ma non vuol dire per forza che ci sia stata un'invasione, è possibile che ci fossero dei piccoli gruppi che si fossero acculturati per conto loro ed avessero imparato a fare questo per conto proprio grazie ad un processo di acculturazione.
Io: perfetto, perfetto. Cosa mi sa dire, invece, del DNA sardo di epoca nuragica? Mi riferisco ad un periodo dall'età del Bronzo all'età del Ferro.
F: Si tratta sempre, a parer mio di un'evoluzione interna: la struttura genetica rimane grossomodo la stessa del Neolitico, si ha quindi una espansione del corredo genetico risalente quell'epoca. Conta che le analisi del DNA antico non sono mai una cosa semplice in quanto hai a che fare con delle parti del corpo umano che possono degradarsi; in questo momento però ci sono delle novità: uno scienziato, Ron Pinhasi, Università di Dublino, ha trovato il modo di estrarre il DNA umano dalla parte più dura del corpo umano, la rocca petrosa, li il genoma è meglio conservato e resiste di più al degrado da parte degli agenti chimici e biologici.
Io: interessante, e per quanto riguarda i genomi in epoca punica e romana?
F: In questo momento collaboro con un collega che analizzerà almeno 1000 genomi antichi che vanno dal medioevo fino alla preistoria, la speranza è che lo stato finanzi questa ricerca, in questo modo potrei sapere qualcosa di più anche su questi periodi.
Io: mmm capito. In sostanza si può parlare di una evoluzione interni del genoma Neolitico fino a quando non arrivano cartaginesi e romani?
F: si. ma le ripeto che conto di fare degli studi approfonditi grazie a questo progetto.


Risultati immagini per rocca petrosa
I punti del Cranio in cui si trova la rocca petrosa.

Io: perfetto, un'ultima domanda: di questi tempi di crisi economica, sociale e culturale la gente dice "perché dobbiamo destinare i soldi a queste cose? Pensiamo agli italiani che non hanno più un lavoro o non arrivano alla fine del mese". Che cosa risponde a tutte queste affermazioni?
F: io difendo questa ricerca non solo in quanto tale ma anche perché come le avevo detto prima ha una sua valenza anche in abito medico. E il tipo di ricerca che faccio io, quella universitaria, è libera. Stiamo assistendo a dei tagli del 20% in tutte le ricerche pubbliche. Ed è questo il motivo per cui c'è la fuga dei cervelli. La nostra ricerca, a livello globale, è settima; se però consideriamo i prodotti di ricerca e li rapportiamo ai fondi erogati, l'italia supera USA e Germania e se la batte con Canada e Gran Bretagna.
Io: ah, però!
F: esistono inoltre delle compagnie private negli Stati Uniti che stanno guadagnando molti soldi grazie alla cosiddetta Genetic Genealogyuna disciplina che va per la maggiore. Le spiego: se una persona vuole conoscere la propria ascendenza ed i propri antenati e manda il proprio DNA a queste compagnie che lo analizzano e le inviano il referto, così scopre quante “storie” scorrono nel suo corredo genetico. Poi uno dice lo stesso "ma uno non ci mangia nulla nel sapere che i sardi sono imparentati con i baschi" ed io rispondo che non è vero, basta vedere l'esempio che le ho fatto; se si investe ricerca pure la ricaduta economica prima o poi arriva, solo che alla corta distanza non lo vedono e non te lo finanziano.

Questa era l'intervista a professor Francalacci, che ringrazio sentitamente per la disponibilità e  l'intervista concessami; è stato un vero piacere poter parlare e dialogare con lui, così come porgli le domande che mi sono venute in mente.
E voi che opinione vi siete fatti? Se volete dirmelo non fatevi problemi, commentate!

Ci si vede ;)