mercoledì 12 dicembre 2018

Cagliari Capitale d'Italia? Non proprio...


"NON SI PARLA DI CAGLIARI CAPITALE D'ITALIA!"



Così mi è stato scritto, a lettere maiuscole, nella sezione commenti di una breve storia del quartiere storico di Castello, Cagliari, che io stesso avevo scritto sul blog della associazione Mare Calmo. Commento stesso che, essendo sotto moderazione ho deciso di non immettere vista l'entrata molto poco tranquilla del signore in questione, che delineava molta poca voglia di discutere: su internet, in chat, nei commenti ed in qualsiasi altro punto in cui si scrive, scrivere con le lettere tutte maiuscole equivale ad urlare, chi ti dice le cose urlando ed alzando la voce non vuole sentire ragioni! Avendo io alle spalle una certa esperienza di litigate virtuali, non me la sono sentita di intrattenermi con quella persona e pertanto ho optato per una cancellazione del commento. Se poi la persona in questione ignorasse il significato di tali parole e non avesse dunque alcun intento bellicoso, allora chiedo venia; se tale persona sta leggendo l'articolo di questo piccolo blog (cosa improbabile) allora le verrà spiegato perché quanto mi ha scritto non è esatto.


Sto parlando della questione di Cagliari capitale d'Italia: qualcuno, molto tempo fa, ha infatti affermato che la prima città della Sardegna fosse stata una delle capitali d'Italia non riconosciute dalla storia ufficiale, in particolare la più antica in assoluto; il fatto che essa non venga riconosciuta, sempre secondo tale persona, è la prova che l'Italia consideri la Sardegna come una nullità da visitare solo in estate. Il punto è che chi ha affermato questo non è l'ennesimo indipendentista sardo perennemente incazzato in rete e con una certa propensione all'insulto a chi non la pensa come lui ma niente popò di meno che Francesco Cesare Casula, uno dei più autorevoli ed illustri storici sardi.


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 Francesco Cesare Casula, uno dei più attivi storici sardi.

Per chi non lo conoscesse, il buon Francesco è stato uno degli storiografi sardi più attivi in assoluto; basti pensare che, nella sua lunga attività accademica, ha scritto circa una settantina di opere e si è impegnato a lungo nella diffusione della storia e della cultura sarda; recentemente si sta battendo, che io sappia, per la difesa e sopravvivenza del sardo nelle scuole, iniziativa davvero nobile e che secondo me meriterebbe davvero tanto appoggio. Grande testa dotata di altrettanto grande cultura dunque, non certo uno zoticone della risma intellettuale di un terrapiattista qualsiasi. Sulla base di cosa, però, afferma ciò che ha detto? 

La sua teoria si basa su i seguenti fatti:
  1. la creazione di un primo "Regno di Sardegna e Corsica" dopo che gli aragonesi conquistarono le prime terre nel 1324. 
  2. I Savoia ottennero la qualifica ufficiale di Re soltanto dopo l'annessione dell'isola ai loro domini, così furono riconosciuti come "Re di Sardegna" e diedero vita al "Regno di Sardegna"; ciò è avvenuto alla spartizione successiva alla fine della Guerra di successione spagnola, in seguito ai trattati di Londra e dell'Aia.
Stando a quanto detto da alcuni siti che sostengono l'argomento, citando come bibliografia lo stesso Cesare Casula, non vi sarebbero neppure documenti che comprovino che Torino fosse riconosciuta come capitale del Regno; inoltre il fatto che Torino fosse riconosciuta come capitale sarebbe dovuto nient'altro che ad una consuetudine, creatasi con l'abitare della corte sabauda in quest'ultima città invece che a Cagliari.

Si può essere d'accordo col fatto che si tenda ad ignorare la parte che giocò la Sardegna nella formazione del Regno d'Italia e che Cagliari stessa fu effettivamente capitale del Regno di Sardegna una volta che i Savoia furono costretti a sbarcare dalle nostre parti dopo essere stati sfrattati gentilmente da Napoleone Bonaparte e le sue truppe. Quindi si può tranquillamente affermare che Cagliari, per un certo periodo (1799-1815) fu la principale città dell'antenato del Regno d'Italia. Che fosse invece capitale del Regno di Sardegna dal 1720 al 1861 è una bazzecola. Perché?

Date una occhiata a questi documenti, presi dall'Archivio di Stato di Torino: questa è la carta topografica che collegava Torino ad Asti, datata al 24/06/1779, noterete che Torino stessa è definita Capitale, ciò prima della fuga dei Savoia in Sardegna; questo è invece un progetto di ripianificazione urbana di Torino del 1815, con i Savoia appena tornati a casa, anch'esso recante la dicitura di Capitale.
Concludo infine dicendo che il fatto stesso che, nei documenti del passaggio di status di capitale da Torino a Firenze, la prima sia riconosciuta come tale è la conferma di quanto io stesso scrivo dato che si tratta di documenti ufficiali

Scrivo tutto questo con assoluto rispetto nei confronti dello storico Casula e per quanto egli ha fatto e sta finora facendo.

Detto questo, vi invito tutti quanti a seguire la pagina dedicata a questo blog su instagram (https://www.instagram.com/illeggiadromondodimartino/)e su facebook (https://www.facebook.com/illeggiadromondodimartino/).

Ci si sente ;)

mercoledì 21 novembre 2018

Le statue di Monti Prama rimarranno a Cagliari: cosa ne penso.

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"Guarda, una cosa è certa, sul nuragico e quanto gli riguarda credo non scriverò più nulla, ormai non ho quasi più niente da dire, so quale sarà il prossimo articolo da scrivere per il blog e non sarà certo roba che riguardi l'archeologia nuragica, sarebbe una minestra riscaldata". Così dissi ad una mia amica durante la Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico a Paestum, proprio il 17/11/2018, un'ora e mezza dopo che avevo fatto un mio intervento durante un convegno della Fondazione Paestum, due ora prima di leggere questa notizia: lo scippo dei giganti di Monte Prama, sulla Nuova Sardegna.
Come non detto.

L'articolo parla chiaro:
Cagliari non restituirà i giganti/eroi/kolossoi/chiamatelicomemincavoletechetantoèlostesso di Mont'e Prama al museo di Cabras. Un affronto non da poco insomma; lo stesso sindaco di Cabras, Andrea Abis, più tanti altri, non l'hanno presa affatto bene, e giustamente direi: stanno negando loro quello che è IL marchio identitario per eccellenza di Cabras, tale da aver soppiantato in tutto e per tutto Tharros, un motore non solo culturale ma anche economico per lo stesso paese in provincia di Oristano.
Perché tutto questo? Cosa li spinge a rifiutare la cessione delle statue al loro comune di provenienza? Esistono delle ragioni valide? Oppure si tratta di una carognata fatta apposta per ristabilire il primato di Cagliari capoluogo? Pur non essendo giornalista, cercherò di fare chiarezza su alcuni punti.

Primo: esiste un protocollo firmato nel 2011 che stabilirebbe un cabina di Regia tra Comune di Cabras, Regione e Soprintendenza di Cagliari per coordinare al meglio progetti di valorizzazione riguardo ai nostri cari giganti, cito un passaggio preso dal sito della Regione Sardegna:

 La Regione, la Soprintendenza e il Comune di Cabras, si impegnano inoltre a realizzare, di comune accordo e ciascuno nell’ambito delle proprie specifiche competenze, il progetto complessivo di valorizzazione del patrimonio di Mont’e Prama. Per quanto riguarda la sezione localizzata a Cabras, i firmatari si impegnano a favorire, per quanto di competenza, la progettazione, realizzazione e allestimento di una nuova sede museale espressamente dedicata al complesso archeologico di Mont’e Prama, adiacente e raccordata all’attuale Museo Civico oppure del tutto distinta da esso. La Regione, da parte sua, si impegna al sostegno finanziario del Comune di Cabras.

In sostanza: Cabras, all'interno del sistema museale creato in funzione delle stesse statue di Mont'e Prama, ha potere soltanto nella propria zona e non può fare nulla nel Cagliaritano (e Cagliari viceversa); la Regione Sardegna gli da i soldi solo per ampliare e gestire il museo, insieme all'area archeologica di Tharros. Tra i firmatari di questo accordo vi sono l'ex sindaco di Cabras, Cristiano Carrus (a quel tempo in carica).

Secondo: a Cagliari ci si arriva, a Cabras bisogna andarci: una volta atterrato ad Elmas o sbarcato al porto di Cagliari, è un attimo informarsi su dove si trovi il museo, fare il biglietto e prendere dei pullman che passano con una certa frequenza per vedere i giganti e tanti altri reperti; per Cabras il discorso si complica in quanto A) dista 106 km da Cagliari; B) tra treno ed Arst, per un turista, andare avanti e indietro per Oristano in modo da beccare le coincidenze per vedere i giganti a Cabras e ritornare a Cagliari, potrebbe essere piuttosto faticoso e snervante considerando la lentezza dei collegamenti ed il fatto che stazione Ferroviaria e quella dell'Arst, ad Oristano, le raggiungi in 15 minuti, per alcuni potrebbe essere una bazzecola, per altri, soprattutto per gli anziani e soprattutto in estate, con 35 gradi c° di temperatura, potrebbe essere una rottura di palle ed una fonte di disagio e problemi non indifferente (escludendo ovviamente il fatto di prenotare un B&B a Cabras o ad Oristano), aspetti che non ti invogliano di certo a fare tanto tragitto per vedere una cosa sola; C) tutte le statue, comprese quelle del museo di Cabras, cosa che non piacerà a moltissimi, sono legalmente proprietà del deposito del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari in quanto registrati nei suoi inventari, pertanto quelle che si trovano nel Museo Civico Giovanni Marongiu  sono in prestito; D) l'ampliamento di quest'ultimo non è ancora stato realizzato.

Terzo: nessuno sta portando via i giganti di Mont'e Prama dal museo di Cabras, semplicemente le cose rimangono come erano prima.

Ciò detto io penso questo: il Museo Nazionale di Cagliari è attualmente una buona di esposizione per i giganti, sia per la qualità delle esposizioni ivi presenti che per i servizi e la facile raggiungibilità del posto, pertanto l'alloggio di alcuni dei giganti all'interno dello stesso museo mi sembra, in attesa dell'ampliamento del museo di Cabras, una soluzione di certo non cattiva.

D'altra parte, negare a priori il rientro degli altri giganti a Cabras potrebbe portare a spiacevoli conseguenze quali: A) creare una esposizione tanto completa che, invece di invogliare il turista a vedere il resto a Cabras, rischi di appagarlo eccessivamente in modo che quest'ultimo arrivi a snobbare il museo civico del paese in questione; B) promuovere un modello di sviluppo ed attrazione culturale tutto incentrato su pochi poli, in questo caso Cagliari, lasciando poche briciole ai comuni e paesi da cui provengono i monumenti archeologici più rilevanti della Sardegna, precludendo dunque la possibilità ai paesi sardi di creare un'economia di turismo locale sostenibile.
Last but not least, le aree archeologiche di Tharros e Cabras, in concomitanza col museo (il biglietto è infatti unico), sono la meta archeologica e turistica più visitata di tutta la Sardegna, tale da doppiare il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, altra ragion per cui restituire le statue a chi di dovere non può che essere benefico nell'ottica dello sviluppo di un turismo locale sostenibile.

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Area archeologica di Tharros; queste e Mont'e Prama sono le mete archeologiche più ambite dai turisti che vengono in Sardegna (foto presa da vistanet).

Per rendere bene il concetto: è come prendere tutti i tesori archeologici più famosi e significativi rinvenuti a Paestum (tra cui la Tomba del Tuffatore, le metope dell'Heraion raffiguranti le fatiche di Eracle, le pitture parietali della dominazione lucana e tanti altri), metterli tutti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e lasciare giusto qualche vaso o reperto di poca importanza mediatica al Museo Archeologico Nazionale di Paestum. Sarebbe una cosa parecchio triste ed ingiusta.

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Tomba del tuffatore a Paestum, presente al museo nazionale di Capaccio. Per farvi capire di cosa sto parlando (foto presa da ildenaro.it).

Ecco perché l'idea migliore, a mio modesto parere, sarebbe quella di lasciare una piccola parte dei giganti a Cagliari, insieme agli altri monumenti e reperti archeologici correlati, in modo da poter invogliare il visitatore a vedere le restanti statue a Cabras e capire di più queste fantastiche raffigurazioni, sperando ovviamente che vengano migliorati i collegamenti tra i due comuni. A patto però che venga finalmente realizzato l'ampliamento del Museo Civico Giovanni Marongiu, diversamente non avrebbe senso riportare indietro delle statue ad un museo che non avrebbe, seppur momentaneamente, la capacità di gestirle, conservarle, promuoverle e salvaguardarle.

Va comunque detta una cosa importante: la stessa direttrice del Polo Museale della Sardegna, Giovanna Damiani, ha affermato in un'intervista che la situazione è fluida che continua ad arricchirsi di tasselli importanti, ovvero: il tutto può cambiare in vista di nuovi avvenimenti, eventi e scoperte archeologiche. 

Per chi fosse interessato, questa è l'intervista la direttrice del Polo Museale della Sardegna, Giovanna Damiani, sulla questione delle statue.

E voi cosa ne pensate? Che siate in accordo o in disaccordo, non fatevi problemi, commentate.


Ci si vede ;)

martedì 30 ottobre 2018

Tana di Lu Mazzoni e Oridda. Tombe dei giganti a tutti gli effetti?

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Nel mentre che gestivo la mia pagina Instagram dedicata a questo blog (questo è il link, per chi fosse interessato) e postavo una foto di Tana de Lu Mazzoni, mi è balzato un quesito forse oggettivamente risibile ma che mi ha dato da pensare per un bel po' di giorni, tanto da avermi ispirato a scrivere l'articolo che sto scrivendo ora.
Ma prima di dirvi cosa mi frulla nella testa, una descrizione di Tana di Lu Mazzoni.

Situata nel comune di Stintino (SS), è una tipologia di tomba davvero particolare: nasce come una domus de janas ed è scavata in mezzo ad un bancone di roccia calcarea; è dotata di anticella, vestibolo e tre celle disposte a croce partendo da quest'ultimo; viene riadoperata in epoca nuragica ed è in quel periodo che vengono aggiunte la stele centinata, che potete osservare nella foto sopra e che in passato doveva poggiare su un tumulo di cui non rimane più traccia, alcune pietre sparse ed altre sagomate ed usate come pavimentazione, le quali dovevano essere collegate ad un'esedra che seguiva a sua volta un'incurvatura artificiale fatta apposta dalle popolazioni nuragiche che l'hanno modificata. La tomba verrà utilizzata persino in epoca romana, riutilizzo testimoniato proprio da ossa e corredi appartenenti a quel periodo.

Descrizione e pianta della tomba di Tana di Lu Mazzoni, tratta dall'opera "Domus Nuragiche" di Editta Castaldi.

Si tratta di un caso davvero interessante di riutilizzo di strutture preesistenti, che al tempo avevano già il loro migliaio d'anni di storia sul groppone; la cosa davvero interessante è non è l'unico caso di riutilizzo di domus de janas in epoca nuragica: vi sono infatti altre domus riutilizzate in epoca nuragica che vengono chiamate tombe a prospetto architettonico o domus a prospetto architettonico. Si tratta sempre di domus de janas modificate e riutilizzate in epoca nuragica; si trovano tutte nel nord Sardegna occidentale ed hanno le seguenti caratteristiche:
  1. Possono essere completamente scavate nella roccia e non avere elementi di costruzione oppure essere in parte scavate ed integrate da altri elementi esterni come la copertura (tomba VIII della necropoli di Su Figu ad Ittiri (SS)) o addirittura la stele centinata (come la nostra cara Tana di Lu Mazzoni).
  2. Presentano modifiche all'esterno, come la facciata a forma di stele centinata e l'incurvatura che simulava l'esedra (non sempre presente), e molto spesso anche all'interno, come la trasformazione della cella in corridoio tombale.
Esistono varie tipologie di tombe a prospetto, tutte con forme e caratteristiche differenti.


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Tomba a prospetto di Molafà, Sassari.

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Tomba a prospetto di Campu Lontanu, Florinas (SS).

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Tomba a prospetto VIII della necropoli di Sa Figu, Ittiri (SS).

Andando poi a documentarmi sulle tombe a prospetto, mi è saltata all'occhio una tomba altrettanto particolare che presenta un impianto interno fortemente modificato: pietre appoggiate alle pareti interne, come a formare una vera e propria muratura, esedra, tumulo e stele. La sepoltura in questione è la tomba a prospetto di Oridda, Sennori (SS). Quest'ultima potrebbe essere benissimo scambiata per una vera e propria tomba dei giganti.

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Tomba a prospetto di Oridda, Sennori (SS).

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Interno della Tomba a prospetto di Oridda.

Fatta questa introduzione e premettendo che in questo articolo non si intende contrastare o sminuire il lavoro da parte degli studiosi che hanno scavato e studiato le tombe in questione, vorrei esporre un interrogativo su Tana di Lu Mazzoni e Oridda. Partiamo con la prima: è possibile definirla una tomba dei giganti a tutti gli effetti? Vi sono infatti alcuni elementi tipici della sepoltura megalitica in questione: una vera e propria stele centinata, a differenza di quelle tante riprodotte a rilievo nelle pareti rocciose, la presenza in passato di un tumulo e di elementi che farebbero pensare ad un'esedra vera e propria oltre che all'incurvatura artificiale della roccia per simulare quest'ultima. Va però tenuto di un elemento fondamentale, che può risolvere facilmente la questione: la presenza dell'impianto a celle tipico da domus de janas, risalente dunque al prenuragico, che rimane sostanzialmente intatto e non modificato dalle popolazioni nuragiche che ne hanno usufruito; pertanto la si potrebbe tranquillamente chiudere li.
Ma la tomba di Oridda?
Quest'ultima presenta, come scritto prima, un aspetto talmente modificato da farla sembrare una tomba dei giganti a tutti gli effetti, soprattutto per quanto concerne la parte interna. È quindi possibile considerarla come una tomba dei giganti a tutti gli effetti, pur comunque tenendo conto del fatto che nasce come domus de janas?

Prima di concludere voglio chiarire che questo articolo non nasce come polemica nei confronti di una catalogazione fatta in base a determinati criteri da parte di persone che hanno speso tempo, fatica ed energie per studiare queste tombe così affascinanti ma come un interrogativo che io stesso mi pongo sulla reale possibilità di annoverare Tana di Lu Mazzoni e Oridda nelle tombe dei giganti; il sottoscritto, inoltre, non si pone alcun tipo di problema ad annoverarle tra la categoria delle tombe a prospetto.

Per chi fosse interessato all'argomento delle tombe a prospetto, linko quest'articolo molto più completo e dettagliato che non questo piccolo interrogativo che mi sono posto.

Spero che l'articolo vi sia piaciuto, se avete qualche perplessità o contrarietà, non fatevi problemi, commentate.
Ci si sente ;)

mercoledì 17 ottobre 2018

I nuraghi misti: un'ipotesi sulla loro creazione.

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E dopo tanto tempo (2 mesi), tante vicissitudini (grazie al team Google) che ho comunque deciso di lasciar perdere, momenti di smarrimento mentale, riflessioni, si ricomincia a parlare di archeologia vera e propria su questo blog.
E non si può che riiniziare da i nostri cari, vecchi nuraghi, in particolar modo dalla prima e dall' ultima tipologia: i protonuraghi, detti pure nuraghi a corridoio, ed i nuraghi complessi, detti anche polilobati.

Dal punto di vista estetico queste due tipologie di nuraghi non possono essere più diverse: la prima ha una muratura generalmente più rozza, senza una forma predefinita, meno imponente, poco slanciata e senza una disposizione standardizzata degli interni; la seconda è più complessa, imponente, generalmente dotata di una muratura più raffinata, più svettante, contraddistinta dalla presenza di varie torri con camere dotate di volta a tholos e da una disposizione più ordinata degli ambienti interni.

È fuor dubbio che chiunque (o quasi) troverebbe molto più bello, affascinante e suggestivo visitare nuraghi come Su Nuraxi di Barumini (Sud Sardegna), Santu Antine di Torralba (SS), Arrubbiu di Orroli (Sud Sardegna) o Losa di Abbasanta (OR) che non un Brunku Madugui di Gesturi (Sud Sardegna) o un Talei di Sorgono (NU).

Quello che però va ricordato è che i protonuraghi hanno assunto, per una manciata di secoli, quello stesso ruolo che avrebbero rivestito i nuraghi complessi: una struttura di rappresentanza dei gruppi di potere che abitavano gli insediamenti a cui era correlato il nuraghe stesso. In questo mio articolo avevo spiegato ed ipotizzato cosa portasse la costruzione dei nuraghi ed avevo ipotizzato delle funzioni molto simili tra i primi ed i secondi.

Quello che molti non sanno è che alcuni nuraghi a corridoio sono stati trasformati in nuraghi polilobati dai gruppi di potere che risiedevano al suo interno e dalla popolazione che abitava l'insediamento correlato; vi menziono due di queste strutture: Majori di Tempio Pausania (SS) e Su Mulinu di Villnovafranca (Sud Sardegna).
In questo articolo cercherò di ipotizzare l'evoluzione dei nuraghi a corridoio in nuraghi complessi ed ipotizzare il perché di questa evoluzione. Nel farlo citerò brevemente proprio quelli sopramenzionati essendo i più conosciuti e studiati (soprattutto Su Mulinu, dove ho pure scavato); tali strutture vengono chiamate nuraghi misti (definizione non mia ma coniata appositamente da Giovanni Ugas).

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Nuraghe Su Mulinu di Villnovafranca, il più famoso e conosciuto dei nuraghi misti.

Il nuraghe Su Mulinu presenta la costruzione protonuragica inglobata in un antemurale collegato a sua volta in un sistema di torri di più recente costruzione, delle quali la più alta ed imponente doveva svolgere verosimilmente la funzione di mastio (torre centrale); le ultime strutture importanti come la capanna con l'altarino al centro, appartenenti al Bronzo finale ed al Primo Ferro, vengono integrate nel resto degli elementi facenti parte del Bronzo medio e recente; il tutto viene costruito nel rispetto della struttura originaria a corridoio, in quanto non si presentano grossi stravolgimenti al suo interno.
Last but not least, all'interno dell'originaria struttura del Bronzo medio, più precisamente la camera ellitica, è stato rinvenuto il bellissimo altare che ricorda il nuraghe stesso nella sua forma.

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Altare nuragico all'interno della struttura originaria del protonuraghe di Villanovafranca.

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Nuraghe Majori di Tempio Pausania.

Il nuraghe Majori invece presenta l'assetto originario completamente rivoluzionato: pur mantenendo la pianta irregolare originaria ed un corridoio che lo taglia orizzontalmente, al suo interno è presente una camera con volta a tholos; ciò era probabilmente dovuto alla maggiore durezza della pietra usata per costruirlo, il granito, che non permetteva un espansione della struttura in tempi ragionevoli; a completare il quadro vi è la presenza di un cortile.


Fatte queste brevi descrizioni, ora ci si chiede: perché alcuni protonuraghi diventano nuraghi misti ed altri rimangono tali e quali?


Teniamo conto di questo fatto, dal Bronzo medio a quello recente passano circa 350-400 anni: in tale arco di tempo, dai primi e meno numerosi insediamenti nuragici, vi è stato un surplus di popolazione che ha portato la fondazione capillare di moltissimi abitati e nuraghi monotorri appartenenti a periodi successivi.; con la creazione di nuovi insediamenti si formano anche nuovi gruppi di potere che possono sviluppare un'influenza minore o maggiore rispetto a quelli vecchi, in quest'ultimo caso si ha l'edificazione dei nuraghi complessi.

Vi sono però i casi in cui in un protonuraghe persistono dei vecchi gruppi di potere che dispongono ancora di grande influenza nell'area circostante e per manifestarla al meglio che cosa si fa? Ci si "adegua" ai nuovi tempi: si espande il proprio nuraghe, gli si aggiungono nuovi elementi come torri, bastioni e cortili e/o ne si rivoluziona la struttura interna. Ed il nostro vecchio protonuraghe diventa un più moderno polilobato.

In sostanza, almeno secondo il mio parere, il motivo che ha portato la formazione dei nuraghi misti è la permanenza di gruppi di potere che hanno mantenuto la loro influenza all'interno di un antico insediamento nuragico del Bronzo medio e nel sistema di insediamenti nuragici e nuraghi presenti delle vicinanze di questo. Ma questa è solo un'ipotesi.


E voi cosa ne pensate? Se avete dei dubbi, non siete d'accordo o vorreste semplicemente approfondire la cosa, non fatevi problemi, commentate.

Al prossimo articolo ;)

martedì 2 ottobre 2018

Archeogaming: Total War Rome 2, le generalesse e chi si scopre difensore dell'accuratezza storica.



Come è stata questa estate signori e signore? La mia abbastanza piovosa, con alcuni impegni, alcune piccole soddisfazioni (che conto di trasportare in questo blog) e una marea di distrazioni (Diablo 2 per la precisione) ed imprevisti che mi hanno impedito di concentrarmi a dovere per questo blog (uno su tutti, AdSense che non parte e non partirà mai, e vabbè) pertanto questo piccolo blog ha avuto la sua vacanza, così come il cervello del suo creatore e scrittore.

Ed è pertanto che oggi si riprende con un argomento in cui l'archeologia e la veridicità storica non sono il soggetto ma bensì l'oggetto... di una crociata intrapresa da una sfilza di videogiocatori incazzati come cinghiali per una modifica fatta ad uno dei loro giochi preferiti, Total War: Rome 2, un videogioco strategico con gestione logistica e manageriale a turni e battaglie in tempo reale, seguito del primo, bellissimo, Rome Total War.
Cosa hanno fatto i creatori per farli imbestialire così tanto? Hanno messo strani bug e virus durante l'ultima versione del gioco? Hanno introdotto un sistema di loot che da un bonus a caso per le tue armate dietro pagamento in carta di credito? Hanno aumentato o diminuito il livello di difficoltà rendendo il tutto non più giocabile e divertente come un tempo? Nulla di tutto questo; e allora cosa hanno fatto? Semplice. Hanno introdotto le generalesse. Mi spiego meglio: hanno introdotto delle donne con funzioni di generali per le armate da comandare.

Per farvi capire la portata dell'arrabbiatura, le recensioni del gioco erano passate su varie piattaforme, Steam in primis, da 9/10 a 7/10. E quale stata l'argomentazione di questa reazione così veemente? Sacrificare l'autenticità storica a favore del politicamente corretto in modo da non essere tacciati di sessismo e maschilismo. In sostanza: la si sta buttando sulla politica. Meno male che noi italiani non siamo soli.
La reazione del team di sviluppo non si è fatta attendere ed hanno detto che Total War Rome 2 è storicamente autentico, non storicamente accurato; tradotto: è ambientato in un periodo storico dell'antichità ma non tutto quello che trovate è davvero esistito in tal periodo. Inutile dirlo, una spiegazione che non ha placato l'ira dei fan della serie e dei videogiocatori. Ma chi ha ragione?

Iniziamo con il fare una precisazione, tre tra le fazioni giocabili non avranno le generalesse: i romani, i greci ed i cartaginesi; il regno di Kush, a sud di quello d'Egitto, avrà il 50% di possibilità averle e tutte le altre fazioni il 10-15%.

Ciò detto, cosa pensare di questa polemica? Parlando come archeologo e come amante della veridicità storica non posso che essere perplesso da questa trovata anche se va detto che la storia antica comprende alcune regine che hanno governato regni e condotto eserciti in guerra: la regina d'Egitto Nefertiti viene raffigurata in un rilievo dove abbatte gli eserciti nemici; Boadicea, regina degli Iceni, popolazione di celti britannici, ha guidato una ribellione contro lo strapotere dell'Impero Romano nelle sue terre; Artemisia, moglie di un satrapo dell'Impero Persiano, prese parte alla battaglie navali di Salamina e Capo Artemisio contro i greci (con questi ultimi, in particolare gli ateniesi, che misero una taglia sulla sua testa dato che non sopportavano l'idea di una donna che muovesse guerra a loro); infine Zenobia, regina del Regno di Palmira, governò e rese le sue terre indipendenti dall'Impero Romano fino al giorno della sua sconfitta.

Rilievo in cui la regina Nefertiti sconfigge e spazza via i nemici, Museum of Fine Arts, Boston, USA.

Zenobia obversee.png
Moneta raffigurante la regina Zenobia del Regno di Palmira.

Eppure la percentuale è così irrisoria rispetto a tutti i regnanti e generali maschi che sarebbe giusto considerarle delle eccezioni che confermerebbero la regola. Per il regno di Kush, storicamente esistito, che nel gioco ha la più alta percentuale di generalesse, non posso parlare dato che sono troppo ignorante sulla sua storia per poter affermare quanto ho appena scritto. In linea generale sarei pertanto d'accordo con chi questa trovata non la digerisce. Sarei...ma non lo sono! Perché? Vi elenco i motivi:
  1. Il primo Rome Total War, per quanto bellissimo come gioco strategico, era una vera e propria porcheria dal punto di vista dell'autenticità storica: zeppo di unità anacronistiche (gli egizi in particolare non vanno visti) o puramente inventate, alcune di queste talmente assurde ed improponibili che sembrano uscite dal manga Berserk o da qualche puntata di Ken il Guerriero. Sono successe per caso delle rivolte su internet in nome della veridicità storica? No. Ok che si trattava di un periodo diverso in cui non esistevano i social network ma va da se che vi era comunque la possibilità di far circolare la propria voce su internet tramite appositi forum ed in questi ultimi non mi ricordo di aver sentito lamentele di questo genere, perlomeno di queste dimensioni.
  2. Total War: Rome 2, per quanto storicamente molto più accurato, presenta alcune incongruenze anacronistiche come la fanteria del regno d'Egitto che usa sia unità armate alla greca che unità abbigliate all'egiziana antica (come nel primo Rome Total War) oppure di falangi di tipo macedone presenti tra gli spartani, soprattutto gli spartiati(!) ed altre ancora, sbagli notevoli seppur lontane dalle trovate kitsch del primo capitolo della serie. Chi si è imbestialito in nome della veridicità storica? Nessuno.
Da qui è facile capire che la molla di questa rivolta non è un vero amore per il realismo storico ma una visione delle cose estremamente politicizzata (in particolar modo dall'estrema destra o da quella alternativa) che vede in tutto questo un tentativo di imporre il politicamente corretto in tanti ambiti dei media, compreso quello dei videogiochi.

Ciò detto, non nego che la scelta da parte del team di sviluppo del gioco possa (POSSA, non ne ho la certezza) essere stata dettata da scelte politiche sul taglio del "politically-correct", così come ci sia della gente che giudichi stucchevole la scelta delle generalesse in base a criteri di reale veridicità storica; tutto questo rimane comunque schiacciato da un unico grosso fatto: la matrice di questa protesta è puramente politica.

A tutte queste persone che si lamentano della scelta di piazzare donne come generali degli eserciti posso dire solo questo: è un gioco, giudicatelo per il divertimento che vi procura ed incazzatevi per altre cose come bug o glitch, non per queste bazzecole che lasciano il tempo che trovano.

Se siete d'accordo o meno con quanto scritto o se volete comunque dire la vostra, non fatevi problemi, commentate. E nel prossimo articolo si riparla di questioni archeologiche vere e proprie. Ci si sente ;)

mercoledì 26 settembre 2018

Aggiornamenti

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Per quei pochi che se lo stanno chiedendo: sono ancora vivo, non sono annegato nei vari diluvi tra fine estate ed inizio autunno che hanno interessato la Sardegna; al momento il blog è fermo per tutta una serie di operazioni che ho iniziato e che spero possano avere compimento il più presto possibile, qualora ci mettesse troppo tempo non esiterò a pubblicare articoli inerenti all'archeologia, chiedo però a quei pochi che mi seguono di pazientare. Vi ringrazio per tutto questo, conto di rimettere le chiappe in carreggiata quanto prima. Ancora Grazie!

martedì 21 agosto 2018

Civiltà talaiotica: influenzata da quella nuragica?

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Accompagnato dall'agosto più autunnale che io abbia mai ricordato, con la testa in brodo per via di mille pensieri, con un convegno a breve al Museo della Tonnara di Stintino, e con un tempo libero organizzato tra letture di romanzi e videogiochi (questi ultimi, ahimè, preponderanti), non ho avuto modo e tempo di poter dedicare energie cerebrali ad un articolo serio da inizio agosto ed è solo la volontà di mantenere vivo questo blog che mi da la forza e la lucidità necessaria per poter continuare, ragion per cui vorrei parlare di un aspetto che alcuni potrebbero trovare piuttosto interessante: le similitudini tra la nostra civiltà nuragica e quella talaiotica.
Prima però, e come è giusto che sia, una spiegazione di cosa è la civiltà talaiotica.

Si tratta di una civiltà millenaria, nata nel Bronzo finale (1300/1200 a.C) e durata fino alla conquista romana del I sec. a.C., diffusasi tra Maiorca e Minorca e che ha lasciato come testimonianza di se delle strutture ciclopiche davvero interessanti, i talayots; questi edifici ricordano di primo acchito dei nuraghi, seppur vi siano delle differenze in alcuni elementi come una minore regolarità generale delle strutture, la fattura generalmente più rozza rispetto a questi ultimi ed altri aspetti che osserveremo in seguito. Altre testimonianze interessanti sono le navetas, strutture già costruite in epoca pretalaiotica per poi esser riconvertite come luoghi di sepoltura, la più famosa delle quali è la naveta D'Es Tudons, Minorca; sepolture ipogeiche scavate sempre nel pretalaiotico ed altre a grotticella semicircolare con corridoio e muri di chiusura dei rifugi di tipo ciclopico (come quella di Corna Nou); infine le taulas, tavole megalitiche la cui funzione era probabilmente di tipo religioso.

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Naveta D'Es Tudons, Minorca, Spagna. Vi dice nulla?

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Taula de Torralba, Minorca.

Soffermiamoci adesso sulla struttura che ha destato la mia attenzione: il talayot.

I primi di questi furono costruiti all'inizio del talaiotico stesso (1300/1200 a.C) e si dividono in due gruppi: quelli a sviluppo orizzontale e quelli a sviluppo verticale. I primi sono più antichi e mostrano una pianta irregolare ma che tende a rimanere compatta e non troppo allungata, la struttura interna è composta da corridoi ed ambienti a pianta irregolare piuttosto stretti se comparati alla massiccia muratura esterna delle strutture in questione; i secondi, preponderanti a Maiorca, tendono ad avere un'impostazione più regolare, con pianta circolare e sviluppo tendenzialmente troncoconico della costruzione; è possibile che le camere interne sviluppassero una falsa cupola come quella dei nuraghi ma è impossibile confermarlo visto che le coperture dei talayots a sviluppo verticale sono andate perdute, alcuni presentano una pianta rettangolare invece che circolare, come quello di Son Serra de Marina. È verosimile, visti pure i rinvenimenti, consistenti in ceramiche commensali e resti di animali, che queste imponenti strutture fossero sede/residenza dei gruppi di potere dei vari insediamenti balearici tra Maiorca e Minorca dell'epoca talaiotica.

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Talayot di Cornia Nou, sviluppo orizzontale.

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Rilievo planimentrico del talayot Conia Nou.

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Talayot di Son Serra de Marina, sviluppo verticale, pianta rettangolare.

Come avrete capito, è inevitabile il confronto con i nostri nuraghi, soprattutto in luogo all'evoluzione strutturale a cui andranno incontro i talayots con l'avanzare del tempo; viene naturale e spontaneo fare un parallelo con la prima tipologia di talayots ed i primi nuraghi a corridoio così come quelli a sviluppo verticale ed i nostri monotorre. Tuttavia, il paragone è piuttosto ingannevole in quanto:
A) I talaiotici svilupperanno altre strutture che nulla avranno a che vedere con quelle nuragiche; B) la civiltà talaiotica nasce e si sviluppa in un periodo in cui quella nuragica aveva già smesso di costruire i nuraghi e che stava attraversando profondi cambiamenti: quando loro avevano i primi talayots a corridoio noi avevamo già Su Nuraxi, Genna Maria, Santu Antine, Arrubbiu et cetera; quando loro sviluppavano un tipo di navetas simile alle tombe dei giganti, noi avevamo già iniziate a mettere da parte queste ultime per passare alle sepolture singole.

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Naveta di Rafael Rubì.

È quindi da scartare a priori un'influenza nuragica? Non del tutto e vi spiego perché: ogni linguaggio culturale che riguardi le strutture (come il megalitismo) o la cultura materiale (come la cultura del Vaso Campaniforme) compie viaggi più o meno ampi in certi periodi di tempo fino a giungere a determinate terre ed ivi durare un tot di secoli. Prendiamo il sopracitato Campaniforme: nato nel 2700 a.C. circa in Portogallo, si è espanso fino a giungere in Germania, Inghilterra e nord Africa e, mentre compariva per la prima volta in alcuni territori, spariva nelle terre in cui si era originato e dalle quali era partito. Certo, stiamo parlando di un periodo in cui le diffusioni avvenivano in buona parte grazie alle migrazioni, cosa che è inverosimile fosse avvenuta per le popolazioni sarde del tempo, in compenso però va tenuto conto del fatto che se i nuragici erano dei navigatori tanto quanto dovevano esserlo le popolazioni delle baleari e che vasi di fattura nuragica sono stati rinvenuti anche in Spagna, dunque non è improbabile che, nel Bronzo medio e recente, i balearici avessero intrattenuto rapporti commerciali e che attraverso questi ultimi fossero circolate determinate idee.

Va infine tenuto conto di un altro elemento fondamentale: se da noi ci sono i nuraghi, in Corsica ci sono le torri della civiltà torreana, che si sviluppa in un periodo simile a quello in cui noi ci sviluppiamo, per cui va anche tenuto conto di un altro importante canale di commercio, trasmissione e scambio di valori culturali, quello Corso, pertanto non è da escludere che la trasmissione della cultura ciclopica possa essere avvenuta anche con i torreani, se più o meno rispetto ai nuragici non saprei dire.

In definitiva: pur ritenendo eccessivo dire che noi antichi sardi abbiamo insegnato ai balearici a fare le costruzioni per cui sono conosciuti in tutto il mondo (i talayots) è innegabile che dalla nostra isola, così come dalla Corsica e da altre terre che io stesso potrei ignorare, sia partita un'influenza che le popolazioni delle due piccole isole hanno recepito ed usato sviluppando monumenti, edifici ed insediamenti secondo il loro gusto e le loro modalità.

Per chi fosse interessato a delle letture più tecniche e specifiche sull'argomento che questo articoletto non è in grado di dare: ecco l'articolo che da la giusta introduzione ai pretalaiotici ed ai talaiotici (ATTENZIONE, CRONOLOGIA NON AGGIORNATA), questo e quest'altro sono articoli riguardanti il popolamento costiero e quest'ultimo è quello dedicato al talayot ed all'insediamento di Cornia Nou; per chi non fosse molto avvezzo allo spagnolo ed al catalano, eccovene uno in italiano.

E voi cosa ne pensate? Se avete informazioni ben più precise e dettagliate non fatevi problemi, commentate pure!

Ci si sente ;)

martedì 31 luglio 2018

Quando il paesaggio rurale incontra il paesaggio archeologico nell'altopiano di Abbasanta


In un articolo precedente avevo parlato di come la nostre vecchie strutture rurali (come le pinnette) abbiano la propria valenza come beni culturali, in quanto testimoni di un'epoca e di una tradizione pastorale che fanno parte della nostra storia, e dunque come manufatti da tenere in considerazione; nella sua introduzione avevo inoltre scritto che stavo preparando uno scritto da portare al Ruraland, convegno svoltosi presso il dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari. Dopo mesi e mesi ad aspettare, finalmente il mio lavoro viene pubblicato nella rivista ad esso dedicata, cosa che aspettavo da tempo dato che col copyright posso pubblicizzare il mio saggio senza il rischio che qualche simpatico furbacchione possa copiarla e spacciarla come propria.

Questo che leggerete sarà la sintesi dell'articolo al quale ho lavorato.

Come è noto a tutti, non è affatto raro trovarsi pinnette (capanne totalmente fatte di pietre, copertura compresa), muretti a secco e recinti per animali fatti di sassi in prossimità di siti archeologici, soprattutto quelli nuragici; in questo mio lavoro spiegherò la formazione del paesaggio rurale, il suo intersecamento con quello archeologico ed i motivi che lo creano. Cominciamo dal principio.

Le prime attività agro-pastorali in Sardegna si hanno a partire dal Neolitico antico e ci lasceranno tracce per tutta la preistoria e protostoria sarda, le più numerose di queste sono ossa di animali prettamente pastorali, come ovicaprini o suini, ed altri utilizzati nell'agricoltura, i bovini; vanno poi menzionati gli strumenti in pietra o in metallo utilizzati per l'agricoltura (come il falcetto in bronzo nuragico presente al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari) vasi per contenere derrate alimentari (dolii con anse a X, sempre nuragici e sempre al museo di Cagliari in questione) e di silos rinvenuti nel villaggio prenuragico di Su Coddu - Canelles, Selargius (CA).

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Dolio nuragico con anse a "X"

Nell'area che ho analizzato, le prime strutture propriamente pastorali appartengono in tutta probabilità al periodo romano e si trovano in località Benezziddo, al comune di Aidomaggiore (OR): si tratta di due capanne allungate della stessa tipologia di quelle presenti al santuario nuragico di Santa Cristina a Pulilatino (OR), un tipo di strutture usate in tutta probabilità come ricovero degli animali. Dopo molti secoli, in periodo storico successivo a quello romano, abbiamo la costruzione di alcune pinnette di cui abbiamo resti sempre a Benezziddo e nelle località Bernardu Pala, Mura Era, Sanilo, Abbaeras, Crabia e Urba ‘e Oes, sempre nel comune di Aidomaggiore; la particolarità è sempre quella di essere costruite in prossimità di siti nuragici. Pertanto in questo periodo si può parlare di una influenza del paesaggio archeologico su quello rurale in quanto i pastori sfruttano la presenza di villaggi e nuraghi per ottenere le pietre necessarie con cui innalzare le loro piccole capannette, pertanto la modifica del primo per opera del secondo è relativamente leggera.


Pinnetta rinvenuta a Benezziddo, Aidomaggiore.

Lo spartiacque, quello che darà inizio al vero e proprio intrecciarsi dei due paesaggi, lo si avrà in periodo sabaudo, nel 1823, quando verrà emanato il Regio editto delle Chiudende, che prevedeva che chiunque fosse riuscito a recintare un lembo di terra ne sarebbe diventato il proprietario; questa geniale trovata, oltre ad essersi rivelata un fiasco colossale, ebbe conseguenze devastanti sulla quasi totalità dei siti archeologici e sul loro stato di conservazione: molti siti archeologici, come i nuraghi e le  necropoli romane ad incinerazione, subiranno danni irreversibili, tanto che alcuni di questi scompariranno del tutto o perderanno per sempre pezzi importanti facenti parte del loro contesto (abitati, segnacoli, menhir et cetera).

Il motivo di tutte queste distruzioni è semplice: per costruire nel più breve tempo possibile, invece di spaccarti le mani a scolpire legno e pietra, prelevi il prodotto già finito e che sta a tua completa disposizione, ovvero i monumenti ed i siti archeologici: nuraghi, capanne antiche e contenitori in basalto romani per le urne forniscono un materiale solido, facilmente trasportabile e pronto al riuso. Da questo periodo comincerà quindi un processo inverso: l'influenza del paesaggio rurale su quello archeologico. Altre attività che andranno ad incidere notevolmente sullo stato di conservazione dei siti archeologici saranno le varie attività di spietramento del suolo e del sottosuolo in modo tale da rendere i terreni più sgombri e fertili per i pascoli di pecore e bovini, creando dei cumuli di pietra in cui non è improbabile ritrovarci pietre di muretti a secco facenti che in passato facevano parte di capanne, altre strutture interrate o nuraghi. Si assiste così anche ad un cambio di vedute in quanto il sito archeologico non viene più visto come una fonte di materiali di costruzione ma come un ostacolo che rende meno produttivo il terreno.


Nuraghe Su Fangarzu, Borore, in prossimità di muretti a secco e cumuli di pietra

Concludo dicendo che ciò vi ho riportato non è frutto di ignoranza o vandalismo ma semplicemente dettato dalla necessità di adattarsi e sopravvivere da parte di persone (tra le quali potrebbero esserci parenti vostri e nostri) che altrimenti non avrebbero trovato modo per campare se stessi e le loro famiglie; occorre dunque porre la costruzione dei muretti a secco e delle pinnette nell'adeguato contesto se si vuole  inserire il paesaggio rurale in un quadro culturale che entri in continuità con quello archeologico.

Per chi fosse interessato al mio articolo completo, ecco il link.

E voi cosa ne pensate? Se volete esprimere una vostra opinione non fatevi problemi, commentate!

Ci si vede ;)

sabato 21 luglio 2018

Bronzetti sardi presenti altrove, quelli falsi e quelli rinvenuti senza scavi stratigrafici: possono aiutarci voltammetria e XRF?


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In questi ultimi mesi mi sono buttato corpo ed anima per soddisfare una mia curiosità sui bronzetti nuragici che raffiguravano gli animali ed ho ottenuto si e no alcune risposte ad alcune determinate mie aspettative; la tal cosa non è stata certo una passeggiata dato che A) i libri che cercavo erano sparsi un po' nelle biblioteche di Cagliari, B) c'era e c'è tutt'ora un caldo torrido infame, C) mi facevo tutto il giro delle biblioteche a piedi visto che preferivo le sovraesposizioni al sole agli scleri del cercare parcheggio in mezza mattina ed al suo conseguente spreco di benzina; di conseguenza tornavo a casa non certo al massimo delle forze.

Nonostante ciò, la ricerca mi ha fatto venire in mente una questione parecchio interessante: quella sulla datazione dei bronzetti. Dato che la maggior parte veniva da contesti sconosciuti o da altri in cui non furono effettuati gli scavi stratigrafici (allora erano pressoché sconosciuti in Sardegna ed in buona parte del mondo), si è cercato di datarli principalmente tra il Primo Ferro ed il Ferro orientalizzante attraverso la tecnica stilistica con cui venivano plasmati e decorati; due esempi lampanti sono il capo tribù di Uta e l'arciere saettante di Teti Abini datati rispettivamente al VIII-VII secolo a.C., in base a supposte influenze orientali ed a metà VII secolo a.C., basandosi su influssi dell'arte paleoetrusca. Nuovi scavi e studi hanno permesso di ottenere datazioni più precise al merito della loro creazione: si va da un periodo che va dal Bronzo finale fino agli inizi del Primo Ferro.

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Arciere saettante di Teti Abini e capotribù di Uta, provenienti da scavi non stratigrafici e datati da Lilliu in base allo stile con cui sono state elaborate.

Vi sono poi i casi dei bronzetti sardi presenti nelle aste, prelevati attraverso scavi distruttivi ed illegali che privano i reperti dell preciso contesto di appartenenza e che li sparpagliano in collezioni private in giro per il mondo. 

Va poi menzionata una questione successa circa 3 anni fa e che dalla quale si scatenò una polemica non indifferente: i bronzetti riportati dall'Inghilterra dall'associazione Nurnet. La storia è questa: alcuni vedono dei bronzetti in un'asta a Londra in cui si vendevano delle statuette in bronzo che venivano indicate come sarde, Nurnet ne acquista quattro e le riporta in Sardegna, il soprintendente Marco Minoja e l'archeologo Rubens d'Oriano dichiarano che potrebbero essere dei falsi e da lì si scatena la polemica (che io stesso spero di non resuscitare per il solo fatto di averla menzionata). 

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I Bronzetti in questione. Per chi volesse avere dei confronti con i veri bronzi nuragici raffiguranti animali, eccovi il link dell'opera che fa per voi.

Tralasciando il fatto che io stesso, per questioni stilistiche, dubito della "nuragicità" dei bronzetti in questione, la datazione di questi bronzi potrebbe essere smentita o confermata utilizzando una tecnica di datazione forse poco conosciuta ma che è già stata sperimentata 4 anni fa con successo e che può fornire risposte adatte alle nostre domande: la voltammetria.

La voltammetria è un tipo di analisi chimica dei metalli che è stata applicata dal professor Antonio Doménech-Carbó dell'Università di Valencia per la datazione di alcuni reperti di bronzo. Il procedimento si basa sull'ossidazione superficiale del rame contenuto nella lega metallica in questione e su quanto questa sia rimasta a contatto con agenti ossidanti, in questo caso l'aria. Il rame infatti, a contatto con essa, crea un primo strato di cuprite, uno degli ossidi dell'elemento in questione; quest'ultima, col contatto prolungato con l'aria, crea un secondo strato che genera un altro ossido, la tenorite.

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Strumenti usati per la voltammetria (mi scuso per l'immagine di scarsa qualità ma non ho saputo trovare altro).

Fatta questa piccola introduzione di chimica spicciola, vi spiego come funziona il tutto.
Si prende una barretta cilindrica di grafite, la si bagna nella paraffina, la si mette in contatto con la superficie che vogliamo analizzare in modo tale che parte delle sue molecole si attacchi all'elettrodo che verrà infine messo nella soluzione acquosa che funge da elettrolita; ciò significa una cosa molto importante: questo metodo di analisi cronologica  non è distruttivo. Fatto questo, vedremo dei picchi nel macchinario collegato agli elettrodi e agli elettroliti, questi rappresentano il livello di corrosione e sono direttamente proporzionali, cioè più un oggetto di metallo è ossidato e più i picchi aumentano. Per chi volesse avere informazioni più dettagliate vi linko questo sito, quest'altro e l'articolo dello stesso professor Doménech-Carbó (vi avviso che dovrete fare richiesta al diretto interessato).

Può quindi essere la chiave per risolvere il problema delle datazioni di molti dei nostri bronzetti? Si, a patto di aiutarsi con gli altri materiali datati in precedenza per meglio calibrare la data precisa, cosa appunto fatta da Domenech-Carbó. Può fornire una datazione più precisa anche dei bronzetti rinvenuti in stratigrafia? Certo che si. Può smascherare un falso? Su questo non saprei dire nulla di certo dato che si conoscono tecniche per un "invecchiamento" artificiale dei metalli, tuttavia la cosa può essere risolta con l'analisi di fluorescenza a raggi x, detta anche XRF.
Dato che molte tecniche di ossidazione artificiale prevedono l'uso di composti chimici, la tecnica sopramenzionata, grazie ad un indagine di superficie non distruttiva basata sui raggi X e sulle reazioni energetiche degli atomi e degli elettroni alla sua penetrazione, è in grado di riconoscere sulla superficie del manufatto i residui dei reagenti utilizzati per l'ossidazione del materiale; ogni elemento rilascia fotoni al suo passaggio ed è riconoscibile a seconda della quantità di energia fotonica rilasciata. Per aver informazioni maggiormente dettagliate, vi linko l'articolo che parla in maniera più tecnica ed approfondita della XRF.

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Come funziona uno strumento portatile per l'analisi della fluorescenza a raggi X.

E voi cosa ne pensate? Se vi è piaciuto l'articolo, se volete dire la vostra, o se volete dire qualcosa in più in merito agli strumenti di analisi chimica applicati all'archeometria, non fatevi problemi, commentate.

Ci si sente ;)