martedì 31 luglio 2018

Quando il paesaggio rurale incontra il paesaggio archeologico nell'altopiano di Abbasanta


In un articolo precedente avevo parlato di come la nostre vecchie strutture rurali (come le pinnette) abbiano la propria valenza come beni culturali, in quanto testimoni di un'epoca e di una tradizione pastorale che fanno parte della nostra storia, e dunque come manufatti da tenere in considerazione; nella sua introduzione avevo inoltre scritto che stavo preparando uno scritto da portare al Ruraland, convegno svoltosi presso il dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari. Dopo mesi e mesi ad aspettare, finalmente il mio lavoro viene pubblicato nella rivista ad esso dedicata, cosa che aspettavo da tempo dato che col copyright posso pubblicizzare il mio saggio senza il rischio che qualche simpatico furbacchione possa copiarla e spacciarla come propria.

Questo che leggerete sarà la sintesi dell'articolo al quale ho lavorato.

Come è noto a tutti, non è affatto raro trovarsi pinnette (capanne totalmente fatte di pietre, copertura compresa), muretti a secco e recinti per animali fatti di sassi in prossimità di siti archeologici, soprattutto quelli nuragici; in questo mio lavoro spiegherò la formazione del paesaggio rurale, il suo intersecamento con quello archeologico ed i motivi che lo creano. Cominciamo dal principio.

Le prime attività agro-pastorali in Sardegna si hanno a partire dal Neolitico antico e ci lasceranno tracce per tutta la preistoria e protostoria sarda, le più numerose di queste sono ossa di animali prettamente pastorali, come ovicaprini o suini, ed altri utilizzati nell'agricoltura, i bovini; vanno poi menzionati gli strumenti in pietra o in metallo utilizzati per l'agricoltura (come il falcetto in bronzo nuragico presente al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari) vasi per contenere derrate alimentari (dolii con anse a X, sempre nuragici e sempre al museo di Cagliari in questione) e di silos rinvenuti nel villaggio prenuragico di Su Coddu - Canelles, Selargius (CA).

Immagine correlata
Dolio nuragico con anse a "X"

Nell'area che ho analizzato, le prime strutture propriamente pastorali appartengono in tutta probabilità al periodo romano e si trovano in località Benezziddo, al comune di Aidomaggiore (OR): si tratta di due capanne allungate della stessa tipologia di quelle presenti al santuario nuragico di Santa Cristina a Pulilatino (OR), un tipo di strutture usate in tutta probabilità come ricovero degli animali. Dopo molti secoli, in periodo storico successivo a quello romano, abbiamo la costruzione di alcune pinnette di cui abbiamo resti sempre a Benezziddo e nelle località Bernardu Pala, Mura Era, Sanilo, Abbaeras, Crabia e Urba ‘e Oes, sempre nel comune di Aidomaggiore; la particolarità è sempre quella di essere costruite in prossimità di siti nuragici. Pertanto in questo periodo si può parlare di una influenza del paesaggio archeologico su quello rurale in quanto i pastori sfruttano la presenza di villaggi e nuraghi per ottenere le pietre necessarie con cui innalzare le loro piccole capannette, pertanto la modifica del primo per opera del secondo è relativamente leggera.


Pinnetta rinvenuta a Benezziddo, Aidomaggiore.

Lo spartiacque, quello che darà inizio al vero e proprio intrecciarsi dei due paesaggi, lo si avrà in periodo sabaudo, nel 1823, quando verrà emanato il Regio editto delle Chiudende, che prevedeva che chiunque fosse riuscito a recintare un lembo di terra ne sarebbe diventato il proprietario; questa geniale trovata, oltre ad essersi rivelata un fiasco colossale, ebbe conseguenze devastanti sulla quasi totalità dei siti archeologici e sul loro stato di conservazione: molti siti archeologici, come i nuraghi e le  necropoli romane ad incinerazione, subiranno danni irreversibili, tanto che alcuni di questi scompariranno del tutto o perderanno per sempre pezzi importanti facenti parte del loro contesto (abitati, segnacoli, menhir et cetera).

Il motivo di tutte queste distruzioni è semplice: per costruire nel più breve tempo possibile, invece di spaccarti le mani a scolpire legno e pietra, prelevi il prodotto già finito e che sta a tua completa disposizione, ovvero i monumenti ed i siti archeologici: nuraghi, capanne antiche e contenitori in basalto romani per le urne forniscono un materiale solido, facilmente trasportabile e pronto al riuso. Da questo periodo comincerà quindi un processo inverso: l'influenza del paesaggio rurale su quello archeologico. Altre attività che andranno ad incidere notevolmente sullo stato di conservazione dei siti archeologici saranno le varie attività di spietramento del suolo e del sottosuolo in modo tale da rendere i terreni più sgombri e fertili per i pascoli di pecore e bovini, creando dei cumuli di pietra in cui non è improbabile ritrovarci pietre di muretti a secco facenti che in passato facevano parte di capanne, altre strutture interrate o nuraghi. Si assiste così anche ad un cambio di vedute in quanto il sito archeologico non viene più visto come una fonte di materiali di costruzione ma come un ostacolo che rende meno produttivo il terreno.


Nuraghe Su Fangarzu, Borore, in prossimità di muretti a secco e cumuli di pietra

Concludo dicendo che ciò vi ho riportato non è frutto di ignoranza o vandalismo ma semplicemente dettato dalla necessità di adattarsi e sopravvivere da parte di persone (tra le quali potrebbero esserci parenti vostri e nostri) che altrimenti non avrebbero trovato modo per campare se stessi e le loro famiglie; occorre dunque porre la costruzione dei muretti a secco e delle pinnette nell'adeguato contesto se si vuole  inserire il paesaggio rurale in un quadro culturale che entri in continuità con quello archeologico.

Per chi fosse interessato al mio articolo completo, ecco il link.

E voi cosa ne pensate? Se volete esprimere una vostra opinione non fatevi problemi, commentate!

Ci si vede ;)

sabato 21 luglio 2018

Bronzetti sardi presenti altrove, quelli falsi e quelli rinvenuti senza scavi stratigrafici: possono aiutarci voltammetria e XRF?


Risultati immagini per bronzetto asinara

In questi ultimi mesi mi sono buttato corpo ed anima per soddisfare una mia curiosità sui bronzetti nuragici che raffiguravano gli animali ed ho ottenuto si e no alcune risposte ad alcune determinate mie aspettative; la tal cosa non è stata certo una passeggiata dato che A) i libri che cercavo erano sparsi un po' nelle biblioteche di Cagliari, B) c'era e c'è tutt'ora un caldo torrido infame, C) mi facevo tutto il giro delle biblioteche a piedi visto che preferivo le sovraesposizioni al sole agli scleri del cercare parcheggio in mezza mattina ed al suo conseguente spreco di benzina; di conseguenza tornavo a casa non certo al massimo delle forze.

Nonostante ciò, la ricerca mi ha fatto venire in mente una questione parecchio interessante: quella sulla datazione dei bronzetti. Dato che la maggior parte veniva da contesti sconosciuti o da altri in cui non furono effettuati gli scavi stratigrafici (allora erano pressoché sconosciuti in Sardegna ed in buona parte del mondo), si è cercato di datarli principalmente tra il Primo Ferro ed il Ferro orientalizzante attraverso la tecnica stilistica con cui venivano plasmati e decorati; due esempi lampanti sono il capo tribù di Uta e l'arciere saettante di Teti Abini datati rispettivamente al VIII-VII secolo a.C., in base a supposte influenze orientali ed a metà VII secolo a.C., basandosi su influssi dell'arte paleoetrusca. Nuovi scavi e studi hanno permesso di ottenere datazioni più precise al merito della loro creazione: si va da un periodo che va dal Bronzo finale fino agli inizi del Primo Ferro.

Risultati immagini per arciere saettanteRisultati immagini per capo tribù di uta
Arciere saettante di Teti Abini e capotribù di Uta, provenienti da scavi non stratigrafici e datati da Lilliu in base allo stile con cui sono state elaborate.

Vi sono poi i casi dei bronzetti sardi presenti nelle aste, prelevati attraverso scavi distruttivi ed illegali che privano i reperti dell preciso contesto di appartenenza e che li sparpagliano in collezioni private in giro per il mondo. 

Va poi menzionata una questione successa circa 3 anni fa e che dalla quale si scatenò una polemica non indifferente: i bronzetti riportati dall'Inghilterra dall'associazione Nurnet. La storia è questa: alcuni vedono dei bronzetti in un'asta a Londra in cui si vendevano delle statuette in bronzo che venivano indicate come sarde, Nurnet ne acquista quattro e le riporta in Sardegna, il soprintendente Marco Minoja e l'archeologo Rubens d'Oriano dichiarano che potrebbero essere dei falsi e da lì si scatena la polemica (che io stesso spero di non resuscitare per il solo fatto di averla menzionata). 

Immagine correlata
I Bronzetti in questione. Per chi volesse avere dei confronti con i veri bronzi nuragici raffiguranti animali, eccovi il link dell'opera che fa per voi.

Tralasciando il fatto che io stesso, per questioni stilistiche, dubito della "nuragicità" dei bronzetti in questione, la datazione di questi bronzi potrebbe essere smentita o confermata utilizzando una tecnica di datazione forse poco conosciuta ma che è già stata sperimentata 4 anni fa con successo e che può fornire risposte adatte alle nostre domande: la voltammetria.

La voltammetria è un tipo di analisi chimica dei metalli che è stata applicata dal professor Antonio Doménech-Carbó dell'Università di Valencia per la datazione di alcuni reperti di bronzo. Il procedimento si basa sull'ossidazione superficiale del rame contenuto nella lega metallica in questione e su quanto questa sia rimasta a contatto con agenti ossidanti, in questo caso l'aria. Il rame infatti, a contatto con essa, crea un primo strato di cuprite, uno degli ossidi dell'elemento in questione; quest'ultima, col contatto prolungato con l'aria, crea un secondo strato che genera un altro ossido, la tenorite.

Risultati immagini per voltammetria
Strumenti usati per la voltammetria (mi scuso per l'immagine di scarsa qualità ma non ho saputo trovare altro).

Fatta questa piccola introduzione di chimica spicciola, vi spiego come funziona il tutto.
Si prende una barretta cilindrica di grafite, la si bagna nella paraffina, la si mette in contatto con la superficie che vogliamo analizzare in modo tale che parte delle sue molecole si attacchi all'elettrodo che verrà infine messo nella soluzione acquosa che funge da elettrolita; ciò significa una cosa molto importante: questo metodo di analisi cronologica  non è distruttivo. Fatto questo, vedremo dei picchi nel macchinario collegato agli elettrodi e agli elettroliti, questi rappresentano il livello di corrosione e sono direttamente proporzionali, cioè più un oggetto di metallo è ossidato e più i picchi aumentano. Per chi volesse avere informazioni più dettagliate vi linko questo sito, quest'altro e l'articolo dello stesso professor Doménech-Carbó (vi avviso che dovrete fare richiesta al diretto interessato).

Può quindi essere la chiave per risolvere il problema delle datazioni di molti dei nostri bronzetti? Si, a patto di aiutarsi con gli altri materiali datati in precedenza per meglio calibrare la data precisa, cosa appunto fatta da Domenech-Carbó. Può fornire una datazione più precisa anche dei bronzetti rinvenuti in stratigrafia? Certo che si. Può smascherare un falso? Su questo non saprei dire nulla di certo dato che si conoscono tecniche per un "invecchiamento" artificiale dei metalli, tuttavia la cosa può essere risolta con l'analisi di fluorescenza a raggi x, detta anche XRF.
Dato che molte tecniche di ossidazione artificiale prevedono l'uso di composti chimici, la tecnica sopramenzionata, grazie ad un indagine di superficie non distruttiva basata sui raggi X e sulle reazioni energetiche degli atomi e degli elettroni alla sua penetrazione, è in grado di riconoscere sulla superficie del manufatto i residui dei reagenti utilizzati per l'ossidazione del materiale; ogni elemento rilascia fotoni al suo passaggio ed è riconoscibile a seconda della quantità di energia fotonica rilasciata. Per aver informazioni maggiormente dettagliate, vi linko l'articolo che parla in maniera più tecnica ed approfondita della XRF.

Risultati immagini per XRF
Come funziona uno strumento portatile per l'analisi della fluorescenza a raggi X.

E voi cosa ne pensate? Se vi è piaciuto l'articolo, se volete dire la vostra, o se volete dire qualcosa in più in merito agli strumenti di analisi chimica applicati all'archeometria, non fatevi problemi, commentate.

Ci si sente ;)

sabato 7 luglio 2018

Opinioni spicciole. L'isola dell'Asinara, il carcere di Fornelli e quale sia il modo giusto (secondo me) per riutilizzarlo.

Risultati immagini per Asinara carcere fornelli


Chi in Sardegna non ha mai sentito parlare dell'isola dell'Asinara? Un'isola particolare, affascinante, nota per il suo paesaggio peculiare che riunisce spiagge, colline, montagne e pianure in pochi km quadrati; nonché un Parco Nazionale famoso per gli asinelli bianchi che la rendono tanto iconica, apprezzato per i centri di recupero della fauna marina esser e per le aree protette vietate a visitatori.
Ciò che è obbligatorio ricordare però è che sia stata una delle più dure e famose colonie penali italiane, spesso destinata a mafiosi, camorristi, delinquenti comunque destinati al 41 bis, tanto che arrivò pure ad ospitare la malanima di Totò Riina; fatto noto alle vecchie generazioni di sardi ed italiani, non tantissimo invece alle nuove che non hanno conosciuto gli anni della colonia penale oppure ne hanno visto soltanto gli sgoccioli, ragion per cui avrebbero conosciuto l'isola soltanto come Parco Nazionale.

La colonia penale, originariamente composta dalla sola Cala d'Oliva, vede la formazione di tante diramazioni, la più famosa (o famigerata, punti di vista) di queste è Fornelli: costruita nel 1930 come sanatorio per malati di tubercolosi, diventa una struttura destinata ai lavori agricoli da parte dei detenuti; questi erano composti in buona parte da terroristi rossi che daranno inizio a delle manifestazioni di protesta alla fine degli anni '70 che esploderanno in malo modo nel 1979 con la cosiddetta Battaglia dell'Asinara, una rivolta da parte dei detenuti talmente violenta che venivano impiegate pure le caffettiere come bombe a mano artigianali, inutile dire che verrà sedata con le maniere più dure possibili; Fornelli prende una pessima nomea e diventa famigerato per essere uno dei carceri più duri e cattivi d'Italia, questa fama farà in modo che dentro la struttura vengano sbattuti dentro mafiosi e camorristi durante i primi anni '90, dopo la stragi di Capaci e di Via D'Amelio. Successivamente, dismessa la colonia penale, Fornelli conosce una fase di abbandono per poi diventare meta dei turisti che passano a visitare l'isola fino ad una chiusura in quanto ormai pericolante.

br dietro le sbarre
Alcuni membri delle Brigate Rosse

Risultati immagini per battaglia dell'asinara
Terrorista rosso che protesta contro le condizioni del carcere di Fornelli.

Per chi fosse interessato, questo è il link di un articolo che racconta in maniera dettagliata il casino successo.

Sono venuto a sapere per la prima volta della struttura nel periodo in cui accompagnavo la mia ragazza, la dottoressa Marta Diana, durante il giro di ricognizione per la sua tesi di laurea magistrale e ne sono venuto a conoscere la storia nel periodo in cui cercavo di diventare guida escursionistica all'interno dell'isola; giovedì scorso ero venuto a seguire in convegno sul riuso delle vecchie strutture pubbliche dismesse ed abbandonate o di quelle che non furono mai utilizzate una volta costruite (orgoglio tutto italiano), la cosa interessante è che il tutto terminava con un workshop interattivo in cui si formavano 3 gruppi che si mettevano a discutere su come riusare delle vecchie strutture dell'Asinara tra cui Fornelli. La mia proposta è stata la seguente: ristrutturare Fornelli per intero mantenendone intatta la struttura originaria allo scopo di creare una sorta di luogo della memoria per far passare un messaggio culturale e sociale. 

Ma quale sarebbe questo messaggio culturale e sociale di cui sto sto scrivendo? Semplice, fare in modo che nelle carceri si possano formare delle condizioni di vita accettabili per i detenuti in modo che si arresti la scia dei suicidi e dei malcontenti; si ricorda che la funzione primaria del carcere non è tanto quella di punire quanto di recuperare, concetto ora come adesso apparentemente poco calzante con la realtà che noi viviamo e/o percepiamo, soprattutto in periodi in cui sentiamo sempre di mariti che uccidono le mogli, stupri, atti di bullismo, vandalismo, violenza tra gang, atti di xenofobia violenta et cetera; va comunque ricordato che in galera uno può finirci persino per motivi meno gravi (come ad esempio i piccoli furti al supermercato od alla bottega) e che un ambiente malsano può portare ad un peggioramento del detenuto che, una volta di nuovo libero, potrebbe avere problemi a reinserirsi nella società e di conseguenza rischierebbe di ripetere gli stessi crimini che ha commesso prima; è altrettanto possibile che possa compiere atti ancora peggiori dei precedenti. Ciò non significa mandarlo in una SPA a 4 stelle e fargli fare dei massaggi all'olio di jojoba ma a fornirgli delle condizioni di vita perlomeno dignitose in modo da facilitarne il recupero ed il reinserimento nella nostra società..

Se non siete convinti di quanto sto scrivendo, sappiate che in tutto il 2017 sono avvenuti ben 57 suicidi a fronte di 1135 tentati, numeri indicativi della situazione parecchio tetra in cui versano le carceri italiane; restando in Sardegna, basti pensare che soltanto a Buoncammino, a Cagliari, avvennero in tutto 62 suicidi durante la sua lunga ed onorata attività.
Mi rendo conto quello di cui sto parlando sia tema apparentemente distante dalle vite di tutti noi ma potrebbe riguardarvi parecchio da vicino dato che, non avendo il dono della premonizione, un vostro parente/familiare (per non dire figlio o nipote) potrebbe ritrovarsi dentro anche solo per un incidente stradale od una rissa finita male. Magari in futuro io stesso potrei finire in gattabuia, vai a saperlo. Per cui è meglio se seguite quanto sto per scrivere.

Risultati immagini per carcere di Buoncammino
Ex-carcere di Buoncammino, Cagliari, uno dei più duri e famigerati per le condizioni in cui erano costretti a vivere i detenuti.

Sono tanti i motivi che portano molte carceri italiane ad essere un vero inferno per chi è costretto a viverci: spazi ridotti, cibo scadente, scarsa igiene ed altri elementi che, a lungo andare, possono destabilizzare il morale di un individuo e portarlo alla depressione o comunque ad un peggioramento della psiche e del carattere con le conseguenze facilmente immaginabili.
Ed è qui che entra in gioco Fornelli: una volta restaurato, può essere convertito come un vero e proprio luogo della memoria in cui raccontare per filo e per segno le durissime condizioni in cui vivevano i detenuti all'interno della diramazione e che cosa abbia portato a scatenare le proteste culminatesi con la violenta rivolta del '79.
Perché proprio Fornelli e non un altro carcere italiano o sardo? Perché si tratta di un ex-carcere che si ritrova su una delle mete turistiche più visitate della Sardegna, e questa è un'ottima occasione per far passare i turisti all'interno della struttura, cosa per altro piuttosto semplice dato che Fornelli è un punto facilmente raggiungibile visto che basta soltanto prendere la navetta che parte da Stintino e si attracca direttamente sul posto.

Un altro punto che gioca a favore è dato dal fatto che il carcere stesso era di per se un posto invivibile: corridoi stretti, finestre piccole e messe molto in alto che creavano degli ambienti davvero chiusi, stanze piccole e spazio limitato per l'ora d'aria, senza contare che in quei momento che uscivi fuori per i lavori forzati non trovavi altro che il mare ad impedirti ogni via di fuga (soltanto il bandito Matteo Boe riuscì a fuggire dall'Asinara ma lui si trovava a Cala D'Oliva).
Per questo motivo la ristrutturazione deve mantenere intatta la pianta originale nei limiti del possibile ed ogni singola stanza com'era prima dell'abbandono della colonia penale.
Ovviamente le sole stanze potrebbero non riportare appieno, soprattutto a chi ha un'immaginazione vicina allo zero, la durezza e tutte le brutte cose avvenute nel carcere in questione, ritengo dunque davvero utile affiancare ad ogni ambiente, ad ogni stanza, sempre nei limiti delle possibilità foto e didascalie giganti che mostrino quanto erano dure le condizioni di vita e tutti gli avvenimenti importanti avvenuti all'interno di Fornelli, quali ad esempio le proteste che culminarono con la Battaglia dell'Asinara.

E voi? Che opinione vi siete fatti al merito? Spero che questo articolo, che di archeologico non ha nulla, vi sia piaciuto.
Ci si sente ;)