lunedì 29 gennaio 2018

Le fantastiche armature nuragiche... che non si trovano da nessuna parte!



Per chi osserva un bronzetto nuragico, quando quest'ultimo raffigura un guerriero o uno di quei demoni/dei/semidei a quattro braccia e quattro occhi, la prima cosa che balza alla vista è la figaggine della loro attrezzatura da guerra: elmi cornuti, pugnali ad elsa gammata, spade foliate, archi talmente lunghi da rivaleggiare con quelli usati dagli inglesi nella guerra dei cent'anni (sebbene di fattura diversa), armature intrecciate, scudi rotondi con placche di metallo, bastoni da combattimento, lance.... roba che sembrano quasi usciti da un libro/videogioco fantasy. I bronzetti ci hanno fornito uno spaccato davvero interessante di come poteva essere la società dei sardi nuragici e delle armate che difendevano le varie comunità in tutte le sue tipologie.

Sarebbe davvero fantastico ritrovare un'armatura completa utilizzata da un fante armato di tutto punto o un arco utilizzato da un arciere, per non parlare degli elmi cornuti. Sarebbe davvero fantastico..... perché, finora, NON E' STATA TROVATA QUASI UNA FAVA DI TUTTO QUELLO ELENCATO FINORA.

Capisco che sia una cosa piuttosto spiacevole da dire ma è l'amara e triste verità.

Per essere più precisi, qualcosina è stato trovato: le spade da combattimento in bronzo, le punte di lancia, le punte di faretra in bronzo ed i pugnali ad elsa gammata presenti al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari ed al Museo Archeologico Sanna di Sassari. Nessuna traccia però di scudi, corazze, archi ed elmi. Perchè? Forse perché, alla fine dei conti, i sardi nuragici erano degli sfigati mitomani o dei ciarlatani che volevano raffigurarsi per quello che non erano o per quello che volevano ma non potevano essere? O forse lo stato italiano, in combutta con gli illuminati, i rettiliani e le lobby ebraiche ha sequestrato di nascosto questi tesori per cancellare la nostra memoria ed il nostro glorioso passato? Nulla di tutto questo. A mio avviso, esistono delle spiegazioni ben più concrete che possono spiegare questa incredibile assenza; tali spiegazioni, però, si basano su ipotesi che, comunque, risultano abbastanza verosimili e veritiere visto il contesto in cui fu calata la Sardegna nei periodi successivi all'epoca nuragica (XVIII sec. a.C. - VI sec. a.C.).

Spiegazione n°1: le armature erano fatte di materiali duri, resistenti... ma deperibili. In questo caso: legno e cuoio. Perché?
Pur essendo i nuragici molto bravi nella lavorazione dei metalli, soprattutto il bronzo, è chiaro che quest'ultimo materiale fosse riservato alla produzione di altri oggetti quali armi, utensili per lavorare le pietre, accette per tagliare il legno, specchi. Ciò lo si evince chiaramente nelle due figure postate sotto.

   
A sinistra, guerrieri nuragico con elmo cornuto, scudo in legno rotondo munito di stiletti; a destra arciere vestito di corazza in cuoio con borchie di metallo e protezione alla parte sinistra del volto.

Esistono comunque armature composte da una singola piastra quadrata/rettangolare in metallo, che proteggeva il petto o l'addome, in dotazione agli arcieri. 

   
Gigante di Monte Prama raffigurante un arciere munito di piastra addominale

Perché quindi, visto che si è bravi a lavorare i metalli, non fabbricare una bella corazza in piastre e lastre di bronzo, come quelle micenee, per far vedere chi detta legge? 

   
Corazza in bronzo micenea con elmo fatto di zanne di cinghiale, giusto per farvi capire a cosa accennavo.

E perché non armarsi di uno scudo tutto di bronzo come quello che si vede in mano agli spartani nel film "300"? Semplice: perché legno e cuoio, seppure meno appariscenti e protettivi rispetto al bronzo, offrivano comunque una protezione adeguata e, cosa non da poco in un combattimento, erano molto più leggeri e consentivano quindi maggiore rapidità e libertà di movimento. Il problema, nel senso archeologico del termine, è che questi materiali non durano a lungo: la loro natura organica fa si che questi materiali, in assenza di un terreno perennemente umido come la torba o di uno perennemente arido come quello desertico, vadano in decomposizione nel corso dei secoli fino a scomparire del tutto. E in Sardegna mancano quasi del tutto le condizioni affinché i materiali organici più deperibili si conservino intatti fino ai giorni nostri (ricordiamoci comunque del caso, più unico che raro, di un pezzo di olivo rinvenuto nel nuraghe Su Nuraxi); finora solo ossa, corna e semi di varie piante, coltivate e consumate in periodo nuragico, giungono fino a noi.

Rimangono però le parti in metallo. Che fine hanno fatto?

Spiegazione n°2: sono state rifuse in epoche successive, come quella cartaginese e/o quella romana, per ottenerne degli oggetti di lusso, delle monete o delle parti di armature. Bisogna infatti tenere conto del fatto che non era raro che degli arnesi o oggetti in metallo, ritenuti inutili sul momento, fossero stati presi e rifusi per ottenere degli strumenti congeniali a seconda della richiesta da soddisfare. 
A questo punto uno dirà "ma perché rifondere il bronzo quando ormai si utilizzano armi in ferro?". Domanda pertinente che merita un'adeguata risposta.
Il bronzo, pur non rivestendo più l'importanza che aveva in passato, era ancora largamente utilizzato in campo civile e militare per la sua durata nel tempo (avete mai fatto caso che un oggetto in bronzo si arrugginisce molto più lentamente di uno in ferro?). Non è raro, infatti, trovare degli elmi di legionari fatti in bronzo che risalgono persino al I secolo d.C.
    
Elmo di legionario, di tipo Italico, in bronzo


A questo punto un' ultima domanda sorge spontanea: il bronzo non potevano crearselo da soli? Potevano, e l'avranno certamente fatto. Il punto è che il bronzo è una lega e per crearlo serve reperire il rame e lo stagno. E gli oggetti in bronzo, specie quando hanno buone percentuali di stagno, hanno una temperatura di fusione piuttosto bassa. Perché dunque sbattersi a reperire due cose quando si ha già quello che serve a portata di mano e pronto ad essere rifuso?

Chiedetevi come mai la quasi totalità delle statue greche, invece che essere delle originali in bronzo, sono copie romane in marmo.

Cosa ne pensate? Spero di avervi aiutato a dipanare un dilemma non da poco e che l'articolo vi sia quantomeno interessato. Al prossimo post ;)

venerdì 26 gennaio 2018

La scrittura nuragica: una bella gatta da pelare!



Per chi, come l'autore, viene dalla Sardegna e sta nel campo in cui sta, l'archeologia, non sapere dell'esistenza dei nuraghi e della civiltà nuragica è un'autentica eresia (ad ragionem): chi infatti, anche il non archeologo, non si è mai posto delle domande su cosa fossero i nuraghi, quando e come furono costruiti, a che servivano e come mai sono quasi dappertutto. Tuttavia esistono dei misteri che persino chi studia archeologia nuragica da tanto tempo non è mai stato in grado di svelare del tutto. Il più famoso, però, a quanto si vede nei vari blog e pagine facebook di appassionati, quello che scatena i dibatti più disparati con toni che vanno dal pacato all'acceso per poi passare dall'aggressivo all'infamante ed al delirante, riguarda proprio lei: la scrittura nuragica!



Se ci si pensa infatti risulta incredibile come la civiltà nuragica, che riesce ad innalzare capolavori come il nuraghe Su Nuraxi a Barumini, il Santu Antine a Terralba ed il S'Uraki a San Vero Milis.... non sia riuscita a scrivere una lettera di alfabeto che fosse una!

Cosa tutto è successo? C'è qualcosa che non quadra, come può una civiltà i cui contatti si estendevano fino alle isola di Creta e Cipro, note per essere casa di civiltà mercantili e marinare quali quella Minoico/Micenea e Cipriota, fosse composta da dei totali analfabeti?
E' possibile che sia sfuggito qualcosa a chi del settore lavora da tanto tempo negli scavi dei vari siti nuragici.
Oppure qualche mente malefica vuole nascondere la grandezza degli antichi sardi che dominarono il mondo prima dei romani e che giunsero fino alla luna con l'aiuto dei Grandi Antichi (Sai che roba sapere che il loro dio fosse Cthulhu)!
Oppure.... ci sono varie spiegazioni ben più profonde e sensate a questa incredibile assenza.



Iniziamo a dire subito una cosa: non è vero che in Sardegna non sono stati trovati dei materiali scritti risalenti al periodo nuragico (XVIII sec. a.C. - VI sec. a.C.). Basti pensare alla "navicella" in terracotta trovata a Teti-Abini (la foto in grande che introduce l'articolo); nei lingottoni in rame modellati a pelle di bue provenienti da Cipro trovati in vari siti e presenti ai museo archeologici di Cagliari e Sassari; all'anfora ritrovata nel sito di S'Arcu is Forros a Villagrande Strisaili.


Il vaso di S'Arcu 'e is Forros



I problemi sono che A) si tratta di scritte effettuate con lettere prese da alfabeti orientali; B) nessuno, neppure all'interno dell'ambiente accademico sardo, che io sappia, è mai riuscito a decifrare il significato di tali parole (io stesso, ahimè, sono ignorante in materia); ed il fatto che non siano stati interpellati degli esperti, italiani o stranieri che siano (come è comunque accaduto in passato, vedi il caso del professore di Harvard, Frank Cross, per la stele di Nora), e che non esista nessuno in Sardegna che insegni lingue orientali come quella fenicia, presente nella nostra isola tramite iscrizioni puniche, la dice lunga sulla preparazione che viene offerta agli studenti, sia nell'ateneo di Cagliari che in quello di Sassari.




Va da se che, se da un lato abbiamo l'assenza quasi totale di dati riguardo alla scrittura nuragica, dall'altro abbiamo una valanga di raffigurazioni: i soli bronzetti ci danno un'idea di cosa doveva essere la società nuragica; i giganti di Monte Prama raffigurano guerrieri, pugilatori e riproduzioni in miniatura dei nuraghi; un vaso rinvenuto al sito nuragico La Prisgiona, ad Arzachena, mostra quelle che, A MIO AVVISO, sembrano teste di buoi ed alcune spighe di grano, un'allusione forse all'attività agricola.


Bronzetti sardi



I giganti di Monte Prama.



Il vaso di La Prisgiona


Recentemente, sulla navicella di ceramica trovata a Teti-Abini, è stata avanzata l'ipotesi, da parte della dottoressa Antonella Fois, che quella cerchiata di rosso non sia una lettera orientale ma una raffigurazione di un pugnale ad elsa gammata; sempre la dotoressa Fois ci mostra un pugnale ad elsa gammata scolpito in rilievo in un blocco di pietra (https://pieragica.wordpress.com/tag/navicella-di-abini/).




Arrivati questo punto posso ipotizzare che i sardi nuragici si affidino all'iconografia per comunicare di messaggi ai posteri. Ipotesi comunque azzardata dato che bisognerebbe chiedere ad un sardo nuragico vero e proprio il motivo per cui le facevano e perché non usavano la scrittura ma, dato che non sono né un medium e né un necromante, non sono in grado di risolvere tale dubbio.

Va da se inoltre che, come scritto prima, servirebbe l'aiuto di un esperto di lingue orientali antiche per capire i messaggi presenti in reperti come la navicella di Teti-Abini e il vaso di S'Arcu 'e Is Forros.



Una cosa è però certa: non esistono prove schiaccianti. Pertanto non vi è nessuna certezza. No prove, no certezza.



Per chi volesse approfondire la questione interessato ad un articolo più tecnico, vi linko questo lavoro effettuato da Raimondo Zucca sulla questione della scrittura. 
(http://www.filologiasarda.eu/files/documenti/pubblicazioni_pdf/bss5/01zucca.pdf)



A questo punto lascio la parola a chi visiona l'articolo. Cosa ne pensate?